linguaggio segreto del corpo

February 17, 2017 | Author: Pau Composer | Category: N/A
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ANNA GUGLIELMI

IL LINGUAGGIO SEGRETO DEL CORPO

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Giornalista e scrittrice, psicosintetista di formazione, Anna Guglielmi tiene corsi e workshop di comunicazione verbale, non verbale e fisiognomica, a cui si rivolgono spesso grandi aziende, uomini politici e personaggi televisivi. Dopo una prima laurea in Lingue e Letterature Straniere e un breve periodo di insegnamento universitario, ha conseguito una seconda laurea con relativo master americano in Psicosintesi. Docente presso il Centro di Milano dell’Istituto di Psicosintesi fondato da Roberto Assagioli, vive e lavora a Milano.

INTRODUZIONE

Se vi chiedessero come tenete di solito le mani mentre vi rivolgete ad altri, che cosa rispondereste? E quando andate a una conferenza, dove siete soliti sedervi? Vi mettete in fondo per non essere notati, anche se rischiate di non sentire molto bene, oppure scegliete direttamente un posto nelle prime file, dove tutti vi vedono? Se dovete entrare nell’ufficio del vostro capo, esitate timorosi aspettando che lui vi inviti a entrare o, senza bussare, prendete possesso della sua stanza? A quale distanza vi tenete dalle persone per sentirvi a vostro agio? Avete bisogno di restare loro appiccicati o vi mantenete a una certa distanza? In ascensore o in autobus, fianco a fianco con degli estranei, quale atteggiamento assumete? Quando siete seduti a un’interminabile riunione e il discorso vi annoia, sapreste dire quale posizione assumono, a vostra insaputa, le vostre gambe e le vostre braccia? Quella volta, infine, che avete dovuto mentire, vi siete accorti che mentre lo facevate la vostra mano sfiorava in un certo modo il viso? Siete insomma coscienti di come vi muovete e del significato che i vostri gesti e atteggiamenti possono svelare? Di come cioè vi presentate agli altri? Ricordatevi che c’è solo una prima volta in cui una persona può incontrarvi, e sembra che siano solo i primi quattro minuti di quel primo incontro quelli che lasciano nell’altro un ricordo permanente, che può essere positivo o negativo. Difficilmente poi si potrà correggere quella prima impressione. Il re nudo C’era una volta un re che sfilava nudo tra la folla, pavoneggiandosi in uno splendido ma invisibile abito tessuto con fili d’oro. La gente non vedeva quell’abito sontuoso, ma credeva di non riuscire a capire una tale magnificenza; solo un bimbo ebbe il coraggio di gridare: «Ma il re è nudo!». Solo i bambini vedono la verità e si fidano di ciò che vedono: essi distinguono i gesti di accettazione da quelli di rifiuto, quelli di apertura da quelli di chiusura. Essi sono ancora in contatto con la parte naturale, istintiva della comunicazione e sentono fortemente la discordanza tra i due messaggi che ricevono, quello del corpo e quello verbale, e possono restare spiazzati da questo “doppio messaggio”. Crescendo vengono condizionati da noi adulti, che insegniamo loro che l’uso delle parole, del

linguaggio verbale, è l’unica espressione alla quale si deve credere. L’unica anche che ci permette di mentire. «La parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero», scriveva Mirabeau. Anche la gestualità è un linguaggio Se il nostro gatto scodinzola nervosamente, subito comprendiamo che preferisce essere lasciato in pace, ma se un nostro amico, dondolando nervosamente un piede, ci dice “va tutto bene”, noi crediamo alle sue parole. Abbiamo del tutto dimenticato il significato della gestualità del corpo, e soprattutto che il corpo non mente. Esso è in contatto diretto con le nostre emozioni più profonde, le nostre paure, le nostre ansie, la nostra gioia, e le trasmette direttamente ai gesti della mano, delle gambe, ai muscoli del viso. La nostra mente può decidere se esprimere o meno verbalmente tali sensazioni o emozioni, ma sappiamo che a volte è meglio tacere. E allora non ammettiamo di essere infastiditi, ma lo dice per noi un piccolo gesto compiuto involontariamente dal nostro corpo al quale, di solito, nessuno presta attenzione. Il sesto senso Ci sono persone che vengono considerate intuitive o dotate di un incredibile “sesto senso” perché riescono sempre, come per magia, a cogliere al volo la vera identità degli altri: forse sanno solo leggere bene i messaggi trasmessi dal corpo e sanno osservare se essi sono in sintonia o meno con le parole che vengono pronunciate. L’empatia Il corpo parla un linguaggio che può essere compreso solo da un altro corpo: per questo è necessario imparare ad essere in contatto con il proprio corpo e a riconoscere le sue espressioni e la sua gestualità. Solo così infatti possiamo immedesimarci con chi ci sta di fronte, provare addirittura a compiere gli stessi gesti, per sentire che cosa si prova, ad esempio, ripiegati su se stessi a spalle curve. Questo modo di sentire si chiama “empatia”. Entrare in empatia con una persona vuol dire cercare di identificarsi con le sue espressioni corporee per arrivare a sentire sulla nostra pelle e nel nostro cuore che cosa l’altro sta provando. Il filosofo tedesco R. Kassner ha scritto che gli uomini moderni non sono più in grado di capire il tempo, di sentire le nuvole e il vento sul proprio corpo, e sono così miseri da dover consultare un barometro per sapere che tempo farà. E non sanno nemmeno collegarsi con l’intima essenza delle piante, delle quali conoscono però i nomi scientifici più complessi.

Hanno perso l’intima essenza che permette loro di sentire gli animali e soprattutto di sentire gli uomini, i loro volti i loro gesti e ciò che si cela dietro di essi. Non sanno più entrare in empatia con gli esseri viventi e devono imparare nuovamente a conoscere e a riconoscere gli altri esseri umani. Le leggi psicologiche Una delle leggi psicologiche di Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, afferma: «Gli atteggiamenti, i movimenti e le azioni tendono a evocare le immagini e le idee corrispondenti». Questo vuol dire che se parliamo con voce aspra e ci comportiamo come se fossimo arrabbiati finiamo per diventarlo realmente. Avete presente i bambini che giocano alla guerra, e fingono di essere nemici e che a un certo punto finiscono per picchiarsi davvero? Al contrario, se compiamo gesti distensivi o di apertura finiamo per diventare mentalmente più aperti verso gli altri. Se, ad esempio, si vuole sviluppare in se stessi il coraggio, poiché con un semplice atto di volontà è difficile controllare un’emozione di paura, mentre invece è più facile intervenire sul corpo, si può iniziare con l’assumere un atteggiamento fisico che evochi questa qualità. Si crea così un feedback positivo, che porta la persona a compiere davvero un’azione coraggiosa. Due linguaggi Esistono due linguaggi fondamentali che permettono la relazione tra le persone: il linguaggio verbale, quello cioè costituito dalle parole, e che serve soprattutto a trasmettere informazioni e dati e, contemporaneamente, un linguaggio non verbale, con il quale si colorano le parole pronunciate, ma soprattutto si esprimono le emozioni più profonde e più vere, e che è fatto di gesti, di atteggiamenti, di silenzi. Anche il silenzio è comunicazione. Non si può non comunicare: qualsiasi interazione tra due persone è comunicazione, anche se avviene solo a gesti o nell’immobilità più assoluta. Studi molto approfonditi hanno calcolato che in una comunicazione interpersonale il messaggio viene trasmesso solo per il 7% dalle parole, per il 38% dal tono della voce e addirittura per il 55% viene comunicato attraverso il linguaggio del corpo. Imparare a interpretare il significato “segreto” di ogni singolo gesto non è un modo per violare l’intimità degli altri, per giudicarli o analizzarli; ritengo invece, poiché dovrebbe trattarsi di una conoscenza reciproca, che possa essere un inizio per una maggiore comprensione, che è poi la base per una migliore comunicazione: proporrei infatti lo studio del linguaggio del corpo come materia obbligatoria nelle scuole superiori. Conoscersi meglio Spero quindi che questo libro possa diventare uno strumento in più per aiutarvi a

conoscervi meglio, perché anche dall’esterno, dalla manifestazione fisica di uno stato d’animo, si può partire per arrivare all’interno di se stessi, per individuare dentro di noi l’emozione che ha creato una determinata reazione fisica. Se di fronte a una persona che crediamo amica scopriamo di disporci con un atteggiamento di chiusura, ad esempio a braccia conserte, possiamo incominciare a chiederci quale può essere il motivo, magari rimasto ancora inconscio, che spinge il nostro corpo a reagire con un gesto di difesa, invece che di apertura. Un viaggio immaginario attorno al nostro corpo Ho cercato di guidare il lettore in un viaggio immaginario attorno al corpo umano, partendo dal modo in cui ci poniamo nello spazio, come lo occupiamo, come stiamo in piedi, come camminiamo. E poi ancora come ci sediamo, quali gesti facciamo con le mani, con la testa, con gli sguardi. Per esigenze di chiarezza spesso ogni singolo piccolo gesto è stato sminuzzato e analizzato. Ma sento necessario chiarire, e lo farò spesso nel corso del libro, che ognuno di questi gesti del linguaggio non verbale ha lo stesso valore di una singola parola che venga estrapolata da un discorso: se non si conosce l’intera frase è difficile darle un significato preciso. Così ogni gesto deve poi essere collocato nel suo contesto più ampio e si deve osservare la gestualità di tutta la persona. Saper “vedere” con il cuore Per comprendere il linguaggio del corpo bisogna avere testa, ma soprattutto bisogna usare il cuore. «Ecco il mio segreto, un segreto molto semplice: è solo con il cuore che si può veramente vedere. Ciò che è essenziale è invisibile agli occhi», scriveva Saint-Exupéry ne Il piccolo principe.

1 IL CORPO E LO SPAZIO

IL SENSO DEL TERRITORIO Gli animali si ritraggono d’istinto quando cerchiamo di avvicinarci troppo, quando cioè tentiamo inconsapevolmente di varcare il loro territorio personale. Si spostano un po’ più in là, per poi fermarsi nuovamente, non appena la distanza tra noi e loro si è ristabilita. Anche noi abbiamo bisogno di uno spazio personale, di un nostro territorio, nel quale ci sentiamo protetti e che difendiamo dall’intrusione degli altri. Si tratta di uno spazio ideale, ben definito, che include un’area più o meno vasta attorno al nostro corpo. Anche la dimensione “tempo” fa parte del nostro territorio personale: se qualcuno ci fa perdere tempo inutilmente ci sentiamo invasi, perché sentiamo che quella persona sta occupando uno spazio/tempo che non le appartiene. L’ampiezza del nostro spazio personale L’ampiezza dello spazio personale di cui abbiamo bisogno può variare molto, perché dipende: – dalla razza cui apparteniamo; – dall’ambiente in cui siamo vissuti; – dalla classe sociale di appartenenza. Fattori razziali I giapponesi, ad esempio, hanno imparato a vivere, da diverse generazioni, in uno spazio personale molto ristretto, a causa della sovrappopolazione delle loro città. Mentre noi occidentali riteniamo che lo spazio sia solo un vuoto che ci divide dagli altri, per loro esiste una realtà quasi palpabile in questo spazio. E così, anche se normalmente stanno molto vicini gli uni agli altri, riescono a mantenere nei contatti ravvicinati dei precisi confini. Anche gli arabi si mantengono in pubblico a una distanza molto esigua e nei luoghi affollati non hanno problemi se i loro corpi si sfiorano, si toccano, si urtano; invece le loro

case sono spesso molto ampie e con grandi spazi vuoti. Per l’arabo non esistono confini fisici: il confine è interno; se vuole chiudersi in se stesso lo fa semplicemente abbassando gli occhi e non guardando più gli altri. Questo è il modo di esprimere il bisogno di privacy e nessuno andrà a disturbarlo, anche se lo toccherà fisicamente. Da un po’ di anni nel nostro paese siamo venuti sempre più in contatto con popolazioni di diverse etnie. Uno degli approcci più frequenti che possiamo avere con una persona di razza araba è al semaforo, quando ci chiede di lavarci il parabrezza della nostra auto. Conoscendo quanto appena detto, se desideriamo instaurare un dialogo o solo accettare l’offerta, sarà sufficiente alzare gli occhi verso l’uomo in piedi accanto al nostro finestrino e questi incomincerà a lavarci il vetro. Gesti di diniego eseguiti con la mano o parole del tipo “no, grazie” non saranno presi in considerazione. Per non essere disturbati basterà non alzare gli occhi e restare assorti: la nostra privacy sarà rispettata e il nostro vetro resterà sporco. Noi europei abbiamo un senso dello spazio vitale più ampio rispetto ad altre popolazioni. Per noi è sgradevole essere toccati quando si è in mezzo alla gente e nelle conversazioni manteniamo sempre una determinata distanza. Se poi abbiamo bisogno di privacy, ci rintaniamo in una stanza e chiudiamo la porta alle nostre spalle. Quando due persone di nazioni diverse s’incontrano, possono quindi nascere dei malintesi sgradevoli per entrambe. Proviamo a immaginare il balletto che verrebbe a crearsi, ad esempio, tra un europeo e un giapponese che stessero parlando. L’europeo mantiene una certa distanza, ma il giapponese, ritenendosi troppo lontano, si avvicina ai limiti del proprio spazio vitale; allora il primo, sentendo invasa la sua zona personale, fa un piccolo passo indietro; l’altro allora avanza per recuperare la posizione. Entrambi sono a disagio: il primo pensa che l’altro è troppo invadente; il secondo che l’europeo è troppo freddo e vuole mantenere le distanze. Lo stesso balletto si può comunque verificare anche tra due persone, non solo della stessa razza, ma anche di ambiente e classe sociale simile, giacché il nostro spazio vitale è soggettivo e dipende da molti fattori. Fattori ambientali Anche l’ambiente in cui si è cresciuti può influenzare il nostro comportamento in termini di bisogno di spazio. Le persone cresciute in città in piccoli appartamenti, abituate a recarsi al lavoro stipate nei mezzi pubblici, hanno man mano ridotto il loro spazio personale e quindi si sentono a loro agio anche relativamente vicini alle altre persone. Tendono, invece, a mantenere una distanza maggiore le une dalle altre le persone cresciute in campagna o in montagna, dove gli spazi sono ampi e dove spesso tra una casa e l’altra ci sono parecchi chilometri. Fattori sociali Anche la diversa classe sociale può generare distinzioni. “Spazio significa potere”;

quindi, di più spazio dispongo intorno a me, e più sono potente. Le case dei ricchi sono grandi, hanno un gran terreno attorno e una recinzione che tiene lontani gli estranei. La reggia ne è l’esempio più alto: di fronte al re ci si tiene a una debita distanza e le uniche persone che possono avvicinarsi a lui sono quelle che egli considera non-persone, i domestici, ad esempio. Una persona potente si sposta anche in un’automobile molto grande e tutta per sé; una famiglia di città in un’utilitaria trasporta, oltre ai figli, la zia e il canarino. C’È UNO SPAZIO PER OGNI PERSONA Negli anni Sessanta, l’antropologo americano Edward Hall, dopo aver a lungo studiato il comportamento territoriale degli animali e aver rapportato questo alle modalità di interazione degli esseri umani, ha elaborato una nuova disciplina, alla quale ha dato il nome di “prossemica”. Come dice la parola stessa (dal latino proximus = “vicinissimo”, “prossimo”), la prossemica si occupa del modo in cui l’uomo usa lo spazio attorno a sé, di come reagisce ad esso, e di come, usandolo, può comunicare certi messaggi in linguaggio non verbale. Hall può essere considerato uno dei primi studiosi ad aver scoperto che lo spazio attorno all’uomo non è vuoto, ma diviso in precise zone, o bolle, invisibili e concentriche, entro le quali l’uomo si muove e nelle quali fa penetrare gli altri, con un preciso rapporto: più aumenta l’intimità, più diminuisce la superficie della zona occupata. Quattro sono le aree in cui, normalmente, possiamo agire: – una zona intima; – una personale; – una sociale; – una pubblica. Zona intima La zona intima si estende all’incirca da 20 a 50 cm, distanza fino alla quale possiamo arrivare con le mani, se si tengono i gomiti vicino al corpo. È la distanza che si mantiene con le persone con le quali si è in confidenza, gli amici più cari, i nostri familiari. Siamo così vicini che è possibile il contatto fisico e l’abbraccio; dell’altra persona non solo si sentono le parole, che saranno pronunciate a un tono di voce più basso, ma è possibile avvertirne l’odore e osservare le variazioni del respiro o del colore della pelle, ad esempio l’impallidire o l’arrossire. I volti sono così vicini che si può cogliere ogni minima espressione ed emozione (fig. 1 a pagina seguente). Per eccesso di cordialità sarebbe meglio evitare di avvicinarci troppo a una persona che

non è ancora diventata intima, magari prendendola sottobraccio. La sua reazione di irrigidimento può farci capire immediatamente che abbiamo voluto spostare il rapporto a un livello più personale e abbiamo invaso, senza chiedere il permesso o esservi stati invitati, lo spazio altrui. Se vogliamo che la gente sia a proprio agio in nostra compagnia, cerchiamo di mantenere le giuste distanze. Più lasciamo avvicinare una persona, più il nostro rapporto diventa intimo. L’entrare di una donna nella zona ravvicinata di un uomo viene sentito invece come tentativo di seduzione. Ci sono persone che per loro natura, avendo di base grande insicurezza e bisogno di affetto, cercano sempre e con chiunque di spostare il rapporto in questo spazio intimo; costoro non si possono lamentare poi se vengono costantemente fraintese. Qual è il rapporto tra due persone che si avvicinano per scambiarsi un bacio? Se i loro corpi restano relativamente lontani e solo le guance si avvicinano, il bacio è formale, niente di più di un saluto o di un augurio; quanto più i loro fianchi si avvicinano, tanto più stretto è invece il loro legame affettivo.

Fig. 1

Vedremo in seguito come si reagisce al disagio per l’invasione collettiva della zona intima, per esempio quando ci si trova in luoghi affollati o sui mezzi pubblici. Zona personale La zona personale si estende da 50 fino a poco più di 120 cm, cioè lo spazio corrispondente al nostro braccio disteso, fino al limite di ciò che possiamo toccare e afferrare. Quando due conoscenti si incontrano per strada e si fermano a parlare, di solito si tengono a questa distanza (fig. 2 a pagina seguente). Si fanno entrare in questa zona, infatti, le persone con le quali abbiamo rapporti di conoscenza, con le quali ci stringiamo la mano e avviamo conversazioni di cortesia, a una festa o a una riunione. A questa distanza il tono della voce è sempre moderato, si colgono ancora le variazioni del respiro e i cambiamenti del colorito della pelle, mentre le espressioni del viso assumono molta importanza. Questa è la zona nella quale non si avvertono più gli odori personali o il profumo, a meno che quest’ultimo non sia molto intenso. Anche il profumo, infatti, può essere usato come mezzo per invadere la zona altrui anche se, formalmente, ci si mantiene a una distanza corretta.

Fig. 2

Zona sociale La zona sociale arriva fino a 240 cm. È la distanza doppia della precedente, quella cioè di due persone con il braccio teso (fig. 3 a pagina 19). Stiamo a questa distanza dagli estranei e dalle persone che non conosciamo bene; dal negoziante che ci vende qualcosa, dal tecnico che ci sta riparando un elettrodomestico in casa, dall’impiegato di un ufficio pubblico al quale ci rivolgiamo. Questa è la zona della neutralità affettiva ed emozionale e genericamente dei rapporti di lavoro.

Fig. 3

A questa distanza non è più possibile toccarsi, cogliere il respiro o il profumo dell’altra persona; per farsi sentire la voce ha un tono più elevato e i gesti e le espressioni sono più evidenti e costituiscono la modalità di comunicazione privilegiata. Lo sguardo ha molta importanza, perché il contatto è solo di natura visiva; quindi è meglio non distogliere gli occhi dalla persona con la quale si sta parlando, perché farlo da questa distanza equivale a escluderla dalla conversazione. Zona pubblica Per zona pubblica si intende lo spazio che va da 240 cm fino a circa 8 metri; generalmente oltre questa distanza non esiste più alcun rapporto diretto tra le persone. Nella zona pubblica si colloca chi decide di parlare a un gruppo: il professore che parla agli studenti, l’attore rivolto al pubblico o il politico che tiene un discorso (fig. 4). In questa zona la comunicazione verbale, essendo grande la distanza tra chi parla e chi ascolta, assume un’importanza capitale e il tono di voce deve essere sensibilmente aumentato. Anche i gesti devono farsi più ampi e le espressioni più marcate e riconoscibili

per poter essere visti e rinforzare, così, il contenuto verbale. Questa è infatti anche la distanza alla quale ci teniamo dalle persone di riguardo. Un esercizio Nei miei corsi, quando viene affrontato il tema dello spazio individuale, invito le persone presenti ad avvicinarsi a due a due, come per iniziare una conversazione; poi viene misurata a terra la distanza tra i loro piedi. Questo per individuare la zona nella quale ogni persona si è istintivamente collocata per rapportarsi con l’altra. Questo esercizio rivela la modalità di relazione che si usa di preferenza: cioè, se si tende a instaurare preferibilmente un rapporto amichevole, sentendosi più a proprio agio nel relazionarsi all’interno della zona intima, degli affetti e delle emozioni o se si tende invece a tenersi a una certa distanza dall’altro, magari più della norma. Nel qual caso è chiaro che si preferisce portare il rapporto, e quindi il discorso, a un livello più mentale e formale, escludendo il più coinvolgente piano emotivo (fig. 5).

Fig. 4

Fig. 5

E l’aura che cosa c’entra? Mi sembra interessante osservare come la scoperta delle zone individuali non faccia in pratica che codificare e misurare quanto da sempre le antiche scienze esoteriche e i sensitivi conoscono dell’aura dell’uomo, dei corpi sottili che lo avvolgono. «L’aura è una specie di nuvola energetica, un ampio uovo che interpenetra e circonda il nostro corpo fisico. Essa ci accompagna sempre, noi camminiamo con essa, dormiamo con essa, e da essa veniamo sostenuti» (Douglas Baker). L’uomo è avvolto da un primo strato sottile di materia invisibile, il corpo eterico. Attorno a questo c’è una bolla più estesa: è quella del corpo astrale, quella cioè delle emozioni, dei sentimenti e dell’affettività. Far entrare una persona nella propria zona intima può forse voler dire permetterle di compenetrare il nostro corpo astrale? Più esterna al corpo astrale c’è una bolla di energia più rarefatta: quella del corpo mentale, nel quale si sviluppano i pensieri, le idee, le attività della mente. Essa potrebbe corrispondere alle zone nelle quali si fanno avvicinare le persone con le quali abbiamo un rapporto di stima, di amicizia o di ammirazione, ma nessun rapporto affettivo. Nella zona pubblica le aure delle persone, visualizzate dai sensitivi come tante bolle, o uova di energia, non si toccano e quindi non si influenzano più. Ma allora, quando noi diciamo che una persona ha un grande carisma e riesce a soggiogare il pubblico intendiamo forse dire che la sua carica energetica, la dimensione della sua aura, è così estesa da arrivare fino a compenetrare e influenzare quella del pubblico? COME REAGIAMO ALL’INVASIONE DEL NOSTRO TERRITORIO Alcuni decenni fa Julius Fast raccontava in maniera divertente in che modo un suo amico psichiatra avesse deliberatamente invaso il suo spazio personale, mentre si trovavano seduti a un piccolo tavolo di ristorante. «Si mangiava, lui continuava a parlare, io lo ascoltavo, ma c’era qualcosa che non mi andava e che non sapevo definire, e questo malessere aumentò quando lui prese le posate e le allineò accanto al pacchetto delle sigarette, spingendo il tutto sempre più

dalla mia parte. Come se questo non bastasse, per cercare di spiegarmi meglio il suo punto di vista si sporse in avanti con tutto il corpo invadendo quasi tutto il tavolo. Io mi sentivo così a disagio che non stavo nemmeno a sentire quello che diceva. Alla fine, ebbe pietà di me e mi disse: “Ti ho voluto offrire una dimostrazione di uno dei punti fondamentali del linguaggio del corpo, la comunicazione non verbale”. Io fui incuriosito e gli chiesi di spiegarsi meglio “Io ti ho minacciato in modo aggressivo, io ti ho sfidato. Ti ho messo nella posizione di doverti difendere, e questo ti ha dato fastidio”. Non avendo ancora ben capito, gli chiesi che cosa avesse fatto di preciso. “Tanto per cominciare, ho spinto avanti le mie sigarette. Ora, in base a una regola che non abbiamo avuto bisogno di enunciare, noi abbiamo diviso la tavola in due parti, metà a te e metà a me”. “Ma io non ho mai pensato a una divisione del genere”. “È naturale che tu non ci abbia pensato. Però la regola rimane. In base a tale regola abbiamo delimitato il nostro territorio, una delimitazione che di solito si mantiene in base a un principio non detto e a una norma di educazione. Però io ho voluto deliberatamente mettere le mie sigarette nella tua area in violazione di ogni buona maniera. Non essendoti reso conto di quello che avevo fatto, tu hai incominciato a sentirti a disagio, minacciato, e quando io alla prima violazione del tuo territorio ho fatto seguire la seconda, spostando in avanti il mio piatto e le mie posate fino ad arrivare ad allungarmi io stesso verso di te, il tuo disagio è aumentato ancor di più e tuttavia non ti rendevi conto del perché”». Proviamo a ricordare le volte in cui qualcuno si è allargato oltre il dovuto invadendo il nostro spazio. Forse anche a noi è successo, senza capire quanto stesse accadendo, di esserci sentiti a disagio, senza riuscire a trovare una spiegazione apparente. Perché è il corpo che avverte l’invasione, mentre noi spesso non ci accorgiamo del messaggio che esso ci lancia. Quando ci si sente invasi, si hanno fisicamente alcune reazioni abbastanza tipiche e che si susseguono con un determinato ordine: – a livello fisiologico il nostro corpo aumenta i battiti del cuore, nel sangue viene immessa adrenalina, i muscoli si contraggono e si preparano a un possibile attacco; – a questo punto iniziamo a trasmettere una serie di segnali preliminari per indicare il nostro disagio, quali dondolare una gamba, o muoverci sulla sedia, come se questa fosse improvvisamente divenuta scomoda; – subito dopo il nostro corpo assume una posizione di chiusura nei confronti dell’intruso e allora abbassiamo il mento, piegando in avanti le spalle o addirittura chiudiamo gli occhi, per cercare di non vedere quanto sta accadendo; – se tutti questi segnali del corpo non vengono riconosciuti e l’invasione altrui, con il conseguente nostro fastidio, continua, allora ci allontaniamo dal luogo in cui ci troviamo e cambiamo di posto. La reazione di fronte all’invasione del territorio personale può addirittura provocare scoppi di violenza incontrollata in persone particolarmente reattive.

In automobile Alla guida di un’automobile spesso reagiamo in modo diverso dal solito quando sentiamo che il nostro territorio è stato invaso, perché viene stabilito un rapporto di distanza molto particolare. È come se, restando seduti in un veicolo, il nostro spazio personale si espandesse e si ingrandisse notevolmente. Così, se siamo alla guida, rivendichiamo per noi una zona che arriva anche a una decina di metri davanti e dietro di noi. Se un’altra auto si inserisce in questo “nostro” spazio, reagiamo con irritazione, cosa che non ci succederebbe se una persona ci tagliasse la strada mentre stiamo camminando per strada (fig. 6). Questo avviene, forse, perché nel contatto interpersonale il nostro corpo compie una determinata serie di gesti, spesso in maniera inconscia, per chiedere il permesso di avvicinarci e per scusarci dell’intrusione.

Fig. 6

Il corpo metallico della nostra auto non ha invece la capacità di fare dei cenni per dichiarare le sue intenzioni pacifiche e non aggressive. COME DIFENDIAMO IL NOSTRO SPAZIO In autobus Nella vita quotidiana esistono molte situazioni in cui il nostro spazio personale viene invaso. Ad esempio, l’essere stipati in autobus o in una metropolitana implica un’inevitabile intrusione reciproca. E allora in un mezzo pubblico non si dovrebbe mai parlare con nessuno, né guardare le altre persone, ma mantenere uno sguardo assente o inespressivo, senza manifestare le proprie emozioni, anche lievi, quali disappunto o buonumore. In ascensore Le persone in ascensore si comportano come se gli altri non esistessero o non fossero persone. Entrando, per prima cosa si fanno dei cenni leggeri col capo per chiedere scusa ai presenti e poi ognuno si chiude in sé. Durante il tragitto si fissa la luce sul soffitto e si legge con molta attenzione la

targhetta indicante la portata massima delle persone. Poi si può controllare ripetutamente se le nostre chiavi sono ancora al loro posto in tasca; infine, lo sguardo resta come ipnotizzato dall’accendersi e spegnersi della luce dei pulsanti dei piani. Uno di fianco all’altro diventiamo rigidi e praticamente immobili e, se per caso sfioriamo involontariamente il nostro vicino, emettiamo alcuni segnali muti per chiedere scusa. Contemporaneamente i muscoli della parte del nostro corpo che è venuta in contatto con l’altro si contraggono, come per una reazione di difesa. Se avessimo il coraggio di alzare gli occhi e osservare le espressioni dei presenti, vedremmo tante persone che sembrano trattenere il fiato, per ricominciare a respirare solo nel momento in cui le porte finalmente si aprono ed è possibile scendere. La folla La resistenza che opponiamo alla violazione dello spazio individuale è così forte che, anche in mezzo a una folla, ricerchiamo un minimo di territorio personale. Durante una manifestazione pubblica ci sentiamo tutti molto invasi ma, se siamo riusciti a guadagnare intorno a noi uno spazio anche minimo, allora possiamo essere più rilassati. Se la folla ingrossa e diminuisce la distanza tra le persone, allora possono sorgere disordini, causati proprio dall’eccessiva irritabilità dei singoli individui, sottoposti loro malgrado a uno stress da deprivazione dello spazio vitale. Le forze dell’ordine conoscono bene questo meccanismo ed è per questo che cercano di diradare la folla quando si fa troppo numerosa, in modo che la gente, non più così oppressa, possa ritornare a uno stato d’animo di maggior calma. Le non-persone La capacità di riconoscere la persona in un essere umano è estremamente importante per capire come noi agiamo e reagiamo, sia con il linguaggio del corpo sia verbalmente. Due medici che discutono della gravità del caso clinico del paziente di fianco al suo letto lo trattano da non-persona. Allo stesso modo viene considerata, e può così lavorare liberamente, l’addetta alle pulizie che entra nell’ufficio durante una riunione per svuotare il cestino; non disturba nessuno, nessuno la vede, come non-persona non può ascoltare quanto viene detto. Una non-persona non può invadere il nostro spazio individuale, così come non potrebbe farlo una sedia o un gatto. Allo stesso modo non possiamo invadere lo spazio personale di una non-persona. In una situazione di affollamento sui mezzi pubblici ci trattiamo reciprocamente da nonpersone, ma al di fuori da queste situazioni può risultare offensivo non essere visti e non essere considerati.

A un tavolo Se vogliamo restare soli ed evitare che qualcuno invada il nostro territorio, di solito mettiamo in pratica alcuni accorgimenti. Avete mai pensato a come ci comportiamo quando, entrando in una mensa o in una biblioteca, ci sediamo a un tavolo e desideriamo che nessun altro venga a sedersi vicino a noi? Le azioni che compiamo variano a seconda del nostro stato d’animo. Per prima cosa andiamo a sederci a un tavolo il più lontano possibile dall’ingresso; poi, se abbiamo una modalità di espressione aggressiva, occupiamo il posto centrale, spalle al muro e il viso verso la porta e quindi verso un possibile avventore. L’atteggiamento del nostro corpo e il posto scelto per sederci dicono chiaramente: “non venite a disturbarmi, andate a sedervi da un’altra parte”. Se invece siamo più introversi, allora ci sediamo sempre allo stesso tavolo, ma con le spalle alla porta, segnalando così il nostro bisogno di restare soli: “lasciatemi da solo; se volete sedervi, fatelo pure, ma non disturbatemi”. Se non comprendiamo questi messaggi, possiamo commettere l’errore di forzare la situazione e di sedere, magari con il desiderio di scambiare due chiacchiere, vicino a una di queste persone. Nella migliore delle ipotesi non otterremo che laconiche risposte e lunghi silenzi carichi di tensione. Ai giardini Anche seduti sulla panchina di un parco possiamo desiderare di restare da soli. Per segnalare ai possibili intrusi il nostro bisogno di solitudine dobbiamo scegliere con cura il posto da occupare: – se ci sediamo al centro della panchina, in modo aggressivo comunichiamo non verbalmente il nostro desiderio di occupare quella panchina da soli (fig. 7);

Fig. 7

– se ci sediamo completamente sul bordo esterno, con una modalità passiva affermiamo di non voler essere disturbati, ma che comunque c’è spazio anche per altre persone (fig. 8); – se desideriamo invece, osservando nostro figlio che gioca o il nostro cane che annusa il

prato, conversare con altre persone, ci sediamo nella nostra metà. Il messaggio è: “chiacchiero volentieri; accomodatevi pure, vi lascio invadere il mio spazio” (fig. 9). Avete presente come è seduto il protagonista del film Forrest Gump intento a raccontare a una sconosciuta la storia della sua vita, seduto su di una panchina pubblica?

Fig. 8

Fig. 9

In treno La prossima volta che avrete occasione di entrare nello scompartimento di un treno ancora vuoto, osservate dove decidete di sedervi (fig. 10).

Fig. 10

Vi sedete nell’angolo interno, girandovi verso il finestrino e magari occupando il posto di fianco a voi con degli oggetti che vi appartengono? Oppure vi girate sorridenti verso la porta e quindi verso possibili compagni di viaggio? Chiedetevi invece che stato d’animo avete se vi capita di occupare il posto al centro, magari sistemando la borsa a sinistra e dei giornali alla vostra destra. D’intuito un passeggero che avesse voglia di fare conversazione durante il viaggio eviterebbe di entrare nel “vostro” scompartimento, a meno che non ci siano altri posti liberi altrove. È altresì molto improbabile che una persona, entrando in uno scompartimento libero, decida di sedersi nel primo posto, subito accanto alla porta d’ingresso. In famiglia I nostri oggetti personali possono, dunque, diventare emanazioni del nostro spazio e, sparsi tutt’intorno, possono allargare la nostra zona di influenza e quindi, in qualche modo, proteggerci dall’invasione altrui. Nella vita quotidiana in famiglia ogni membro ha dei propri spazi personali che rivendica; per il padre può trattarsi della poltrona preferita, vicino alla quale lascia il suo libro o gli occhiali, quasi a segnare “questo posto è occupato”. Per la madre può essere il territorio della cucina. Vi siete mai chiesti perché le suocere o le nonne, quando sono ospiti, creano dopo un po’ scontento e disagio? Uno dei motivi è da ricercare, anche, nel fatto che inevitabilmente queste signore, nel desiderio di rendersi utili, spostano gli oggetti dal loro posto abituale e occupano spazi che, per tacita regola, appartengono alla padrona di casa. Se il bambino semina i suoi giochi in cucina, la madre reagisce invitando il figlio a riportarli nella sua stanza in nome di un principio di educazione all’ordine, ma in realtà lo fa per difendersi dall’invasione del suo territorio personale. Territorio e proprietà Quando ci appoggiamo a una persona o a una cosa, nel linguaggio del corpo indichiamo apertamente che ci appartengono, che sono di nostra esclusiva proprietà o, anche, che ne siamo fieri. Quando riceviamo una persona sulla porta di casa, anche se siamo sorridenti e pronunciamo parole di benvenuto, evitiamo di tenere ostentatamente una mano sullo stipite della nostra porta d’ingresso (fig. 11). Il messaggio che inviamo al nostro ospite a questo punto è doppio: con le parole lo invitiamo a entrare; con il corpo, invece, gli mostriamo di essere gelosi della nostra “tana” e di non avere troppo piacere che venga invasa da estranei. Sprofondati nella poltrona dirigenziale, i piedi sulla scrivania, ribadiamo a chiunque

entri che non solo quello è il nostro territorio, ma anche che meritiamo a buon diritto la carica che ricopriamo (fig. 12).

Fig. 11

Fig. 12

Al cinema Se il cinema non è affollato, e quindi non siamo costretti a sederci in un posto qualsiasi, anche in questa occasione effettuiamo istintivamente delle scelte per rispettare non solo la nostra privacy, ma anche quella delle persone già sedute. La persona che si siede in una fila libera sceglie di solito il posto con la visuale che ritiene migliore; la persona che arriva dopo di lei si colloca abbastanza lontana dalla prima, perché i rispettivi spazi personali vengano rispettati. Si è studiato che normalmente non ci si mette dalla parte opposta, cioè troppo lontano, perché tale atteggiamento potrebbe sembrare offensivo. Una terza persona che prendesse posto nella stessa fila sceglierebbe la posizione intermedia, equidistante dalle altre due (fig. 13). La prossima volta che andiamo ad assistere a uno spettacolo, osserviamo anche in quale settore istintivamente preferiamo collocarci. Nelle prime file, come per catturare avidamente più immagini possibili? Lungo il corridoio o prossimi all’uscita per sentirci più liberi e non disturbare?

Fig. 13

COME INVADIAMO IL TERRITORIO ALTRUI I simboli dell’autorità Così come noi bussiamo prima di entrare, altrettanto dovremmo fare, in maniera simbolica, prima di invadere la bolla di qualcuno. Rispettare lo spazio non sempre è facile e non sempre viene fatto. Le persone potenti cercano di occupare uno spazio notevolmente superiore agli altri, perché sono ben consapevoli che questo fatto conferisce loro maggior prestigio. Il grado di autorità di una persona viene messo in evidenza non solo dalla grandezza del suo ufficio e della sua poltrona, ma anche dal tempo che questa lascia passare prima di darvi il permesso di entrare nel suo ufficio e da come, invece, possa liberamente invadere il vostro. Posizione e grandezza degli uffici Se un’azienda dispone di più piani di uffici, chi lavora ai piani più alti ricopre una carica gerarchicamente superiore. A parità di piano, l’ufficio ad angolo è più importante di uno collocato in posizione centrale, anzi si può dire che il potere diminuisce più aumenta la distanza dalla posizione ad angolo. Open space La regola “angolo = potere” vale anche per gli spazi di lavoro aperti, gli open spaces, quelli nei quali, per agevolare la comunicazione e snellire le procedure, molte persone si trovano a lavorare assieme nello stesso grande locale e dove tutti sono sotto gli occhi di tutti; cosa che a lungo può diventare motivo di stress. Quindi, se riuscite a ottenere un posto ad angolo, con le spalle al muro, avete raggiunto una posizione dominante. Il posto peggiore in un open space, quanto ad autorità, sembra rivelarsi quello al centro della stanza, poiché si è disturbati dal continuo passaggio. Si può cercare di difendere la postazione centrale, proteggendola con oggetti da usare come barriera, e allora si possono collocare, per fare quadrato intorno a noi, delle piante, un mobiletto o al limite un paio di sedie, da tenere, però, costantemente piene di pile di scartoffie. Dimensioni dell’ufficio e arredamento Naturalmente, più l’ufficio è ampio e ben arredato, più rispecchia il ruolo e l’importanza del suo occupante. Senza arrivare a misurare al centimetro le dimensioni della scrivania e la qualità del materiale con cui è realizzata, che può variare da una essenza di legno pregiato a semplice laminato, o l’esistenza o meno di tappeti, quadri, piante e grandi

finestre, l’ufficio è anche l’espressione della personalità di chi lo occupa. Tutto ciò che viene appeso dietro alla scrivania, e che quindi può essere visto solo dai visitatori, è stato collocato lì per fare impressione su di loro. Di solito ci sono diplomi, premi e onorificenze ricevute. Tutti gli oggetti che invece sono visibili solo da chi è seduto alla scrivania appartengono alla sua sfera privata: si può trattare di ritratti di persone care o di oggetti attinenti ad attività di cui è appassionato. Sembra, invece, che ciò che viene appeso alle pareti laterali abbia una funzione puramente decorativa e non rivesta alcun significato preciso. La scrivania Come viene infine usato il piano della scrivania? Affermare che più è pieno di carte e più la persona ha da lavorare sembra ovvio, ma lo è solo parzialmente. Una scrivania totalmente vuota indica che la persona realmente non deve svolgere alcun lavoro; probabilmente si limita a decidere e il lavoro lo svolgono gli altri. Se sul piano c’è un solo fascicolo comprendiamo che la persona in quel momento sta affrontando un solo problema specifico, per poi evaderlo e passare ad altro; se invece ci sono tante carte ordinate e divise per argomento, probabilmente ha l’incarico di coordinare e controllare diverse attività. Tante carte e documenti accatastati alla rinfusa, tanto da occupare quasi tutto lo spazio del piano di lavoro, non rivelano un individuo super indaffarato, ma al contrario: chi siede a quella scrivania non riesce ad avere la giusta efficienza e metodo di lavoro (fig. 14).

Fig. 14

Più alta è la sedia… Nel regno animale si domina l’avversario con l’altezza; alcuni di voi ricordano la favola di Fedro del lupo e dell’agnello («Superior stabat lupus, inferior agnus»): il lupo beveva l’acqua dal ruscello in una posizione più alta rispetto a quella in cui si trovava l’agnello. L’animale più debole dichiara la sua inferiorità sdraiandosi a terra e l’animale più forte gli sale sopra. Anche gli uomini seguono nella tradizione un simile comportamento ancestrale e si

inchinano di fronte a un idolo, a una divinità o a un re. L’atto di genuflettersi, di inchinarsi, addirittura di prostrarsi a terra sottolinea la riconosciuta importanza e superiorità della persona o del simbolo dinanzi al quale ci si pone. Da sempre è riconosciuto valido il principio che più alta è la sedia e più alto è il rango e il potere di chi vi è seduto. Il trono dei re era non solo più grande e sontuoso degli altri posti a sedere dei cortigiani, ma era anche posto più in alto, in modo che le persone ammesse al suo cospetto non potessero arrivare all’altezza degli occhi del sovrano. Carlo Magno si fece costruire nella cattedrale di Aquisgrana un trono divenuto famoso per la sua altezza. Il suo intento era di rendere simbolicamente evidente la sua importanza, anche di fronte al papa. Nel film di Chaplin Il dittatore c’è una sequenza che porta al paradosso questo meccanismo. Dal barbiere si incontrano, seduti di fianco, Hitler e Mussolini: con il volto insaponato e senza potersi sfilare dalle rispettive poltroncine, hanno una sola possibilità per cercare di affermare la loro reciproca superiorità, e cioè cercare di alzare la sedia sulla quale si trovano seduti. Così, a turno, in maniera molto umoristica, azionano la levetta che fa sollevare il sedile, arrivando alla fine a sfiorare il soffitto. Quindi, se in azienda si vuole ulteriormente sottolineare la nostra superiorità e far sentire alle persone chiamate a colloquio la loro dipendenza e metterle in imbarazzo, sarà sufficiente restarsene seduti dietro alla scrivania su una grande poltrona dirigenziale e collocare dinanzi a noi, per chi deve sedersi, una poltroncina più bassa, più scomoda e senza braccioli. La persona a colloquio con noi sarà in difficoltà, non sapendo dove appoggiare le braccia; se poi la sedia è abbastanza bassa, diventerà per lei disagevole l’accesso alla scrivania e, così sprofondata, automaticamente sarà costretta a farsi trattare dall’alto in basso. Questa posizione sminuisce in partenza la sicurezza di una persona e quindi il suo potere durante un colloquio. Il massimo della perfidia lo si può raggiungere lasciando volutamente, se l’ospite fuma, un portacenere a una certa distanza, in modo da obbligarlo a compiere strane evoluzioni per poterlo raggiungere. Un altro diffuso gioco di potere è quello di collocare la poltroncina riservata al visitatore il più lontano possibile dalla scrivania, e questo sottolineare la distanza rende ancora più impotente l’ospite (fig. 15). Vi ricordate dove veniva fatto sedere Fantozzi, il personaggio di tanti celebri film, quando veniva ricevuto dal suo grande capo? Un dirigente che abbia rispetto per gli altri, indipendentemente dalle dimensioni della sua poltrona, quando riceve una persona per un colloquio, si sposterà dall’altra parte della scrivania, per sedersi allo stesso livello e senza frapporre barriere. C’è da chiedersi perché, invece, troppo spesso certe figure professionali, ad esempio i medici, amino restare altolocati e barricati dietro alla scrivania, dichiarando, con il linguaggio non verbale, la loro assoluta superiorità e non disponibilità, quando a parole stanno cercando di instaurare un dialogo personale e magari intimo con il paziente, che così intimorito ha molte più difficoltà ad aprirsi e a esporre i suoi problemi.

Fig. 15

Quindi, se avete occasione di presentarvi a un colloquio di lavoro, fate attenzione alla sedia che vi viene offerta: da questo potete capire le intenzioni del vostro interlocutore e l’opinione che egli ha di se stesso e di voi (fig. 16).

Fig. 16

Il tempo d’attesa Far attendere una persona è una tecnica ben conosciuta per mettere in risalto la propria autorità e importanza, che possono essere quantificate contando i minuti che intercorrono tra quando bussate alla porta di qualcuno e il momento in cui vi viene dato il permesso di entrare. Se, dopo aver regolarmente fissato un appuntamento, vi recate nello studio di un noto professionista e dovete attendere in sala d’aspetto per parecchio tempo, probabilmente pensate che, poiché egli è talmente importante e impegnato, è quasi un onore riuscire ad essere ricevuti e quindi il vostro tempo e il vostro denaro sono ben spesi.

Siamo così abituati a subire queste attese che, se ci capita di essere ricevuti immediatamente, possiamo dubitare della capacità del professionista e pensiamo di essere l’unico cliente della giornata. Entrare senza bussare Un capo, invece, non deve attendere di essere ricevuto, né tantomeno chiedere il permesso prima di entrare, o almeno così ritiene di doversi comportare per sottolineare ulteriormente la sua autorità. Da come ci comportiamo entrando in una stanza che non ci appartiene si può stabilire quindi il nostro grado di autorità. Perché noi possiamo: – bussare e attendere pazientemente di essere invitati a entrare, che equivale a dire: “il capo non sono io e la mia autorità è praticamente nulla”; – non bussare ed entrare direttamente: autorità massima e anche grande mancanza di sensibilità e di tatto. Con una simile azione è come se, con il linguaggio del corpo, stessimo affermando: “qui comando io; qui tutto è mio, e quindi entro dove e quando voglio”. In questo modo inoltre chi è nella stanza viene trattato da non-persona, da semplice esecutore di una funzione specifica, poco più di una fotocopiatrice. Una volta aperta la porta, la nostra maggiore o minore autorità si misura da quanto spazio invadiamo del territorio altrui. E qui abbiamo tre possibilità: – possiamo fermarci sulla porta e comunicare rispettosamente quanto necessario: autorità minima; – possiamo avanzare fino al centro della stanza: in linguaggio non verbale comunico di ricoprire un certo ruolo che mi dà l’autorità sufficiente per fare questo; – possiamo entrare e dirigerci con passo deciso fino alla scrivania della persona seduta: autorità massima. Più veloce è l’entrata nella stanza, cioè quanto meno tempo si impiega a entrare, maggiore è il grado di autorità di cui si gode. Anche la scrivania di una persona è uno spazio personale da non invadere. Spesso non ci si pensa e allora arrivando al tavolo di un collega ci appoggiamo le mani o la nostra borsa o ci sediamo addirittura sopra per sembrare più disinvolti. Così facendo possiamo provocare una reazione di grande risentimento e perdere per lungo tempo la collaborazione di quella persona. Spesso il capo autoritario ritiene di poter entrare senza bussare e arriva difilato alla scrivania del suo dipendente invadendola con le mani o sbattendoci sopra il fascicolo che ha portato (fig. 17). Un superiore avveduto eviterà di fare questo, per non provocare sentimenti ostili, ma cercherà di darglielo direttamente in mano. Se, comunque, si vuole entrare senza bussare, si può farsi sentire con un colpo di tosse o con la voce, per preavvisare della nostra entrata ed evitare così di mettere in imbarazzo chi forse in quel momento non è pronto e non desidera essere colto alla sprovvista.

Fig. 17

L’interrogatorio Se una moglie volesse assolutamente ottenere una piena confessione dal marito che le sta di fronte, potrebbe cercare di usare le tecniche specifiche di invasione del territorio delle quali abbiamo parlato, e ritornare con la memoria ai tanti film polizieschi visti in televisione. E allora, per prima cosa, dovrà farlo sedere in un posto fisso, ad esempio l’angolo del divano, e poi incalzarlo fisicamente, sedendosi sempre più vicina, man mano che diventano più pressanti e specifiche le domande (fig. 18). Nei film di solito, a questo punto, l’interrogato, di fronte alla doppia aggressione verbale e territoriale, avendo precluse le uniche due possibilità, cioè quella di fuga o quella di attacco, si sente impotente e questo stato genera in lui una forte frustrazione che prelude alla confessione. Anche la moglie a questo punto, se avrà usato bene questo meccanismo psicologico, sarà riuscita a indebolire le difese del marito al punto da farlo crollare e confessare la verità. Ma se lui, sentendosi invaso, si alza e si allontana, a lei non resta che una possibilità, quella di andare a leggere al capitolo 9 quali sono i gesti che di solito compie una persona quando mente.

Fig. 18

LO SPAZIO ATTORNO A UN TAVOLO

Attorno a un tavolo rettangolare si svolgono di solito la maggior parte dei rapporti di lavoro, sia esso una scrivania o un tavolo da riunione. Anche il posto che si occupa, sedendo con altre persone, è significativo dei rapporti che intercorrono e del clima che inevitabilmente verrà a instaurarsi. La distanza alla quale ci si mantiene esprime anche la reciproca distanza interiore. Vediamo alcuni esempi. Se il nostro capo è seduto dietro alla sua scrivania e noi dobbiamo sederci con lui per svolgere un lavoro, rispetto alla sua posizione noi abbiamo tre possibilità: sederci di fronte, di fianco a lui o a lato del tavolo, in posizione angolare. La posizione frontale Questa posizione, che vede le due persone sedute una di fronte all’altra, può rivelarsi anche la più pericolosa perché porta inconsciamente a dividere il tavolo in due parti eguali, come per un’ideale partita: il rischio è che le persone tendano ad assumere un atteggiamento competitivo e quasi di sfida (fig. 19).

Fig. 19

Perciò è assolutamente da evitare, potendolo fare, se si desidera instaurare un rapporto di amichevole collaborazione; può essere, invece, la situazione ideale per un capo che debba redarguire un suo dipendente o impartire degli ordini. È purtroppo la più usata nei colloqui di lavoro. La posizione angolare Sedersi ad angolo si rivela la posizione ideale quando si deve intrattenere un colloquio, perché entrambe le persone possono guardarsi in faccia e parlare e, allo stesso tempo, avere una parte di campo libera per il movimento e per lasciar spaziare lo sguardo. È quindi una posizione più rilassante, che crea minor tensione e nella quale è possibile lavorare più serenamente (fig. 20). L’angolo del tavolo funge, inoltre, da barriera parziale e questo consente un minimo di protezione. Questo è anche il posto migliore per la segretaria alla quale si debbano

dettare delle lettere: lei è abbastanza vicina da permetterci di usare un normale tono di voce e, nel contempo, si ha il campo libero innanzi a sé per potersi concentrare su quanto si va via via dettando. Se, convocati per un colloquio di lavoro o per una vendita, riusciamo a sederci in questa posizione, abbiamo molte più probabilità di successo.

Fig. 20

La posizione di fianco Se ci viene concesso di sederci dalla stessa parte della barricata il significato appare subito molto evidente: la persona con la quale lavoriamo ritiene che tra di noi esista un pari livello di mansioni, e che le nostre idee sono abbastanza affini circa la risoluzione di un determinato problema che ci riguarda entrambi (fig. 21). Un venditore, quando riesce a sedersi a fianco di un potenziale cliente, sarà molto più facilitato nel trasmettergli che faranno entrambi un ottimo affare se concluderanno quella trattativa.

Fig. 21

La posizione distanziata Esiste, infine, un’ultima possibilità di sedersi rispetto a una persona, e cioè il più lontano possibile, dall’altro lato del tavolo: questo modo di comportarsi significa prendere le distanze, per timidezza, soggezione o disinteresse, da quanto dovrà essere detto. Questa è la posizione dell’accompagnatore, di colui che sta accanto a chi è seduto di fronte alla scrivania, senza intervenire nel colloquio.

È anche la posizione che normalmente si sceglie sedendosi a un tavolo di biblioteca o di consultazione, per cercare di non disturbarsi reciprocamente (fig. 22).

Fig. 22

Un piccolo trucco Supponiamo che dobbiate sottoporre dei documenti a qualcuno che, da dietro la sua scrivania, vi invita a sedervi di fronte a lui. La scrivania è larga e voi avete poca possibilità di successo dalla posizione in cui vi trovate: l’ideale per voi sarebbe di riuscire a passare dalla sua parte, per poter meglio illustrare il vostro progetto. Provate questo piccolo trucco: disponete il fascicolo in mezzo alla scrivania. Se la persona non è minimamente interessata ad approfondire l’argomento, non si muoverà dalla sua posizione; allora restate al vostro posto e senza tante speranze iniziate a parlare. Può anche darsi che egli si sporga in avanti per vedere meglio quanto gli esponete: il messaggio non verbale è “mi interessa, ma resti al suo posto”. Se invece la persona con cui state parlando attira dalla sua parte il fascicolo, vi viene tacitamente offerta la possibilità di seguirne il percorso; chiedete a questo punto se potete avvicinarvi per illustrarlo e poi rapidamente spostatevi al suo fianco (fig. 23).

Fig. 23

Il tavolo da riunione

Se alcune persone di pari grado sono sedute attorno a un tavolo da riunione (fig. 24), la persona seduta nel posto indicato con il numero 1 si trova automaticamente ad avere più autorità per il fatto di essere a capotavola e di dominare, oltre al tavolo, la porta d’ingresso.

Fig. 24

Segue per importanza la persona seduta all’altro capo del tavolo, poiché volge le spalle alla porta, e infine chi siede di fianco a 1, a partire da 2 e 3. Le persone dall’altro lato del tavolo, spalle alla porta, sono leggermente svantaggiate. Il tavolo quadrato Un tavolo quadrato ha delle valenze precise, poiché si creano contemporaneamente situazioni di competizione e di collaborazione tra le persone. Vediamo invece le dinamiche che possono instaurarsi inconsciamente, a livello del linguaggio del corpo, quando si decide di “mettersi a tavolino” per risolvere un qualsiasi problema. Di solito collabora di più con noi chi ci è seduto di fianco, soprattutto la persona alla nostra destra. Chi si trova di fronte a noi, in posizione tacitamente competitiva, opporrà maggiori difficoltà e magari farà resistenza. La prossima volta che ci capita, proviamo a fare attenzione se questo avviene e, se ci è possibile, cerchiamo di tenere l’incontro seduti attorno a un tavolo rotondo, che crea immediatamente un’atmosfera meno competitiva. Sedersi in cerchio Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda vengono citati spesso nei libri di linguaggio del corpo, perché ha colpito la nostra immaginazione l’idea di un re così saggio da desiderare che i suoi cavalieri fossero seduti assieme a lui attorno a un tavolo che, proprio per la sua forma, potesse garantire a tutti una parità di rango e di importanza. Questo è in effetti ciò che succede, a patto che allo stesso tavolo rotondo non sieda una persona più importante, re Artù o il capo di turno, perché allora tutto cambia e l’importanza delle persone viene sancita in base alla maggiore o minore lontananza dal

capo. La stessa regola può valere naturalmente anche per le persone sedute in cerchio per un gruppo di lavoro (fig. 25). Se la persona seduta a sinistra, accanto alla lavagna, e indicata con il numero 1 conduce il gruppo, il suo braccio destro è il numero 12, e l’altro suo assistente il numero 2.

Fig. 25

Il numero 7, seduto di fronte a lui, è il suo antagonista o, se la sua seduta è casuale, quello che potrà in seguito opporre più resistenza e critiche. Le persone numero 8 e numero 6 hanno, per simpatia e somiglianza di vedute, scelto di sedersi di fianco all’opposizione, o comunque potrebbero diventarne degli alleati. Chi ha scelto di sedersi nei posti 4 o 10 non è molto interessato a quanto viene detto e da quella posizione può nascondersi abbastanza alla vista del capo e dell’antagonista, e nello stesso tempo può controllare tutti gli altri. Più complesso e sottile è lo stato d’animo degli altri quattro che sono seduti nelle posizioni intermedie. Il capogruppo deve prestare molta attenzione a 3 e 11 perché dipende magari da loro l’esito di una votazione: essendo persone deluse, perché ritengono di non avere abbastanza potere, se si sentono escluse potrebbero venire meno agli impegni presi. Più facile, forse, è trattare con 5 e 9: per portarle dalla sua parte deve con pazienza stimolarle a esporre le loro idee e, se ci riesce, alla riunione successiva, potrebbero, istintivamente, scegliere un’altra posizione. Importante è ricordare che la scelta del posto equivale, a livello inconscio, a un’affermazione con la quale indichiamo con quale stato d’animo ci accingiamo ad assistere alla riunione e a chi intendiamo rivolgere le nostre simpatie o antipatie. Uno stesso gruppo di persone, che si incontra abitualmente nello stesso luogo, tende a conservare il posto scelto la prima volta. Se vogliamo comprendere il mutare delle dinamiche interne al gruppo può essere interessante osservare se qualcuno cambia posizione. In famiglia: il tavolo da pranzo

Che tipo di tavolo da pranzo abbiamo in casa? La famiglia aperta preferisce riunirsi attorno a un tavolo rotondo, la famiglia chiusa sceglie un tavolo quadrato o rettangolare. Per famiglia aperta si intende un nucleo in cui le persone sono libere e poco formali, e i posti a sedere possono essere tranquillamente scambiati a seconda delle esigenze del momento. Rigida e formale è invece una famiglia chiusa, nella quale non c’è spontaneità o libertà e dove a tavola ognuno ha il suo posto fisso, la sua sedia intoccabile. Chi è invitato a casa di amici può già avere una prima importante indicazione circa l’atmosfera che regna nella famiglia che lo ospita, facendo attenzione alla distribuzione dei posti attorno alla tavola. Altra indicazione per comprendere l’ordinamento interno della famiglia stessa, per capire cioè chi comanda, ci viene fornita dal posto occupato dal padre e dalla madre. Se il padre siede a capotavola e la madre alla sua destra, ognuno dei due rispetta il ruolo tradizionale: lui è il capofamiglia, lei non è in competizione, ma gli è molto unita. Se i genitori siedono ognuno a un capo del tavolo, questo indica che fra di loro esiste un conflitto, magari inconscio, su chi deve portare i pantaloni in casa; può essere il caso della madre che chiede formalmente ai figli di rispettare il padre “perché è lui che comanda”, ma che poi in realtà è lei a dirigere con il suo umore la quotidianità. Anche attorno al tavolo di casa vale quanto detto fin qui riguardo al significato dei posti occupati; può essere quindi utile osservare dove si siedono i figli e gli altri membri della famiglia, perché ognuno occupa inconsciamente il posto che riflette il suo ruolo all’interno dei rapporti interfamiliari. Se il figlio maschio si siede di fronte al padre, in atteggiamento di sfida-competizione, forse è nell’età adolescenziale della ribellione e della ricerca di una propria identità. Se invece è la figlia che, sedendosi a sinistra del padre, si pone di fronte alla madre, forse è nella fase in cui si sente in competizione con lei. Abbastanza defilato e neutrale potrà essere il posto scelto dal figlio minore, che ancora non riveste alcun ruolo particolare in famiglia. Dai posti occupati si rilevano, infine, anche le alleanze che vengono a costituirsi tra i fratelli o i membri della famiglia. Al ristorante Anche nel sedersi a un tavolo di ristorante si seguono inconsciamente gli stessi principi fin qui esposti e così si può scegliere il posto di maggior predominio, quello più defilato e con le spalle alla sala e all’ingresso, oppure più o meno vicino alle persone a noi più affini. Quanto detto, naturalmente, non tiene conto delle normali regole di galateo e cortesia che tutti noi conosciamo e che prevedono certi rituali e certe posizioni che, in quanto imposti, non sono segnali inconsci del linguaggio del corpo. Che cosa dire di un piccolo tavolo a cui una coppia non può che prendere posto sedendosi uno di fronte all’altra? Se le persone sono innamorate e il tavolo è molto piccolo, è possibile un’intimità

maggiore, in quanto le ridotte dimensioni del tavolo permettono il contatto delle mani e il guardarsi profondamente negli occhi, per dedicarsi completamente all’altro. Una coppia con qualche dissapore nell’aria, che scelga di andare al ristorante per parlarne, dovrebbe invece evitare la posizione frontale e quindi combattiva. Si vedono spesso coppie che discutono al ristorante sedute uno di fronte all’altra (fig. 26).

Fig. 26

2 CHE TIPO SEI?

Uno sconosciuto si avvicina Uno sconosciuto prende appuntamento per venire a parlare con noi. Lo vediamo entrare dal portone principale e chiedere come fare per raggiungerci. S’incammina infine lungo il corridoio, in fondo al quale lo stiamo aspettando. Nei pochi istanti che intercorrono tra il momento del suo ingresso e quello nel quale ci stringerà la mano, possiamo osservarlo attentamente e capire già molte cose: il suo carattere, le sue propensioni, il suo stile di vita, il suo umore e, perché no, se possiamo fidarci o meno. Osserviamo per prima cosa la sua corporatura: se atletica o massiccia, se alta o bassa, se ha le spalle diritte o ricurve. Prestiamo poi attenzione alla sua andatura e al suo portamento, a come cammina mentre si avvicina: a passo spedito e deciso o a passo lento e calmo; a come appoggia i piedi e li tiene allineati. Ora è più vicino e possiamo distinguere i gesti delle braccia e delle mani; riconosciamo la forma del volto e l’espressione che assume. I nostri sguardi si incrociano. Quando, infine, è a un passo da noi e ci saluta, notiamo il tono della voce, la pelle, l’odore; mentre rispondiamo con un «Buongiorno, l’aspettavo. Prego, si accomodi», la persona che riceviamo non è più così sconosciuta per noi (fig. 1 a pagina seguente). Non dimentichiamo che ciò che notiamo degli altri, gli altri lo notano di noi. Potremmo essere noi lo sconosciuto che compie quegli interminabili passi che dall’ingresso lo separano da chi sicuramente lo sta osservando e al quale vuole fare una bella impressione. Ci siamo infatti preparati molto bene tutto il discorso da fare, ma ricordiamoci che il nostro corpo ha già parlato tanto per noi e che il 93% dell’impressione è già stata data.

Fig. 1

Partiamo anche noi da lontano nell’osservazione del linguaggio del corpo e per prima cosa esaminiamo la corporatura di una persona per individuarne le caratteristiche principali. Rispetto a un corpo pragmatico, quello di un manichino perfetto, ma irreale, possiamo essere un po’ più grassi o magri, un po’ più curvi o rigidi e, naturalmente, volendo ipotizzare una divisione tipologica degli esseri umani, dovremmo tener conto delle diversità di razza, di sesso e di quelle apportate dell’età; ricordandoci anche delle condizioni e dei periodi storici in cui vivono e del loro temperamento. I TEMPERAMENTI Una volta si riteneva che il temperamento non fosse costante, ma cambiasse come il tempo, e rivelasse quindi il momentaneo stato d’animo di una persona, non il suo carattere. Esso tendeva comunque a conferire un’impronta ai suoi muscoli, ai suoi movimenti, all’espressione e alle pieghe del viso, perché in base alla loro costituzione certi tipi hanno la tendenza a vivere più di frequente in un determinato temperamento. La classificazione degli antichi Secondo l’antica medicina greca, poi estesa al mondo romano e all’Occidente fino al Medioevo, il corpo umano è la sede di quattro umori vitali: il sangue, la bile gialla, la bile nera e il flegma, l’umore freddo proveniente dal cervello. L’esistenza dei vari tipi umani si spiegava con la diversa mescolanza (temperamentum per i latini) di questi quattro umori. Secondo la prevalenza di uno di essi, si potevano avere i seguenti temperamenti: – il sanguigno, in cui l’umore dominante era il sangue; – il collerico, in cui predominava la bile gialla (cholé in greco); – il malinconico, pieno di bile nera (mélaina cholé in greco); – il flemmatico, in cui l’umore fondamentale era il flegma. Il sanguigno Una persona dal temperamento sanguigno la si riconosce perché è vivace, attiva, allegra e con voglia di vivere. Cammina in modo disinvolto, i suoi muscoli sono sciolti. Il suo modo di parlare è vivace e caldo, e lo sguardo è aperto. I sentimenti rivestono nella sua vita una parte importante (fig. 2).

Fig. 2

Il collerico È una persona brusca, energica, irritabile, che disprezza tutto quello che è delicato e sensibile. Anche il suo portamento è energico e i muscoli sono molto tirati; il viso è teso, lo sguardo piuttosto fisso e le labbra chiuse. Il suo modo di parlare è veloce, sintetico e il tono di voce è generalmente un po’ alto. È una persona che privilegia il movimento ai sentimenti (fig. 3).

Fig. 3

Il malinconico Il malinconico, al contrario, preferisce talmente restare immerso nei sentimenti, da reprimere quasi completamente il movimento (fig. 4). È un sofisticato, un sognatore pensieroso, che non trova gioia nella vita e che quindi tende a cercare la solitudine.

Fig. 4

Il suo camminare è lento e trascinato, così come monotono è il suo modo di parlare. I muscoli non hanno tensione; la pelle del suo viso non ha colore e la fronte è solcata da rughe di preoccupazione. La bocca è costantemente atteggiata in una smorfia amara e lo sguardo è triste. Il flemmatico Come il malinconico, anche una persona dal temperamento flemmatico è lenta, pesante e sovente maldestra, ma si differenzia per la sua passività. Il suo sguardo è senza espressione e il suo modo di parlare è lento e incerto. La persona è lenta sia negli affetti che nel movimento; potremmo dire che è calma e indifferente; è quindi difficile smuoverla o farle prendere delle decisioni, senza che prima ci abbia pensato molto a lungo (fig. 5).

Fig. 5

Il lavoro ideale Se in una persona uno dei temperamenti prevale in maniera molto forte sugli altri, sarà naturalmente più portata a ricoprire certi ruoli o a svolgere certe attività.

Se ci riconosciamo nel temperamento malinconico, sarebbe molto difficile, addirittura straziante, cercare di proporsi quale addetto alle vendite o rappresentante. Un lavoro da svolgere in casa o in un locale chiuso, in cui ci sia possibilità di leggere, di pensare, di scrivere, sarebbe l’ideale. Un malinconico lo possiamo trovare tra i pensatori, i filosofi, gli scrittori, gli archivisti. Un sanguigno può svolgere al meglio tutte quelle attività dinamiche e a contatto con gli altri, come commerciante, rappresentante, attore, operaio, dirigente. Si sentirebbe oppresso da un lavoro sedentario, da svolgere al chiuso e da solo. Anche il collerico, splendido capo reparto o ufficiale, diventerebbe insopportabile, nervoso e scontento, se dovesse svolgere un lavoro chiuso in un ufficio. Per il flemmatico, l’ideale è un’attività che richiede calma, ad esempio amministratore o consigliere; collocato in un posto dove è necessario essere attivi, dinamici e di rapida decisione, risulterebbe ridicolo. Le affinità Gli antichi avevano anche studiato che cosa accade se si forma una coppia di persone dello stesso temperamento. Essendo molto simili, avrebbero finito inconsciamente col respingersi e una vera e propria attrazione non ci sarebbe mai stata. Pensate ai poli di una calamita: quelli simili si respingono. La coppia ideale, dicevano, è quella nella quale agisce un’alternanza di temperamenti: così, quando in uno dei due entra in azione il temperamento attivo, la passività dell’altro può neutralizzarlo. LE TIPOLOGIE A seconda della costituzione fisica – quindi della struttura ossea, del tipo di pelle, ecc. – e in base a un più o meno accentuato sviluppo di determinati organi, si possono distinguere negli esseri umani varie tipologie. Noi esamineremo le tre tipologie più comuni e più semplici da individuare: – il tipo muscolare; – il tipo digestivo; – il tipo cerebrale. Naturalmente questi tipi “puri” nella realtà non esistono, perché ogni corpo, così come ogni volto, è un insieme di vari tipi. Il tipo muscolare Il suo aspetto fisico è caratterizzato da: testa dall’ossatura squadrata e volto dai

lineamenti marcati; collo muscoloso, braccia massicce e dita robuste, gambe potenti e piedi lunghi. Il suo sguardo reale e sobrio dimostra grande volontà ed energia. Duro come il ferro, non si lascia piegare facilmente e agisce seguendo non il sentimento ma i suoi principi o le direttive ricevute. Ama la libertà e l’indipendenza, sfida i pericoli e lavora duramente, dimenticando spesso il riposo. Preferisce le attività all’aria aperta che richiedono movimento e forza muscolare, come il lavoro nei campi, nell’edilizia, la vita per mare o nell’esercito: tutti lavori che necessitano di energia, decisione e capacità di azione (fig. 6).

Fig. 6

Avendo meno sviluppata la sensibilità, non dimostra mai apertamente i suoi sentimenti e di solito non sopporta le persone che lo fanno. Le sue labbra strette, e tenute abitualmente serrate, indicano il suo scarso interesse per il cibo, che è semplice e monotono: egli si nutre solo per sfamarsi. Il tipo digestivo La sua testa è larga, come il viso; il collo è corto, quasi inesistente e spesso sovrastato dal doppio mento. La bocca è carnosa e gli occhi piccoli, come il suo orizzonte, piuttosto ristretto e rivolto alle cose vicine e reali. È una persona pratica e solida con uno sviluppato senso per il commercio. Poiché ha poca forza muscolare e poco desiderio di spiritualità e di attività culturale, tende a lavorare e ad accumulare molto denaro per procurarsi le comodità di cui ha bisogno: la buona tavola e una bella casa (fig. 7). Se volete ottenere qualcosa da lui, chiedeteglielo mentre sta mangiando, mai quando è digiuno, e in ogni caso fatelo sedere, perché non ama restare in piedi e nemmeno parlare di concetti astratti. I lavori adatti a lui sono nella piccola industria o nell’artigianato: l’ideale sono tutti quei lavori legati in qualche modo al settore alimentare.

Fig. 7

Il tipo digestivo dà il meglio di sé come ristoratore o cuoco. È attirato soprattutto dai tipi muscolari, dai quali può facilmente venire influenzato; tende invece, appena può, a opprimere i tipi cerebrali, poiché realmente non li comprende e in fondo li considera inferiori. Il tipo cerebrale Il suo sistema nervoso, sviluppato al massimo rispetto all’apparato muscolare e al sistema digestivo, crea una costituzione tenera, gracile e delicata (fig. 8).

Fig. 8

La sua testa sembra avere la forma di un uovo, con la fronte che diventa la parte predominante del viso; gli occhi sono grandi e pieni di anima; il collo è sottile e le mani hanno dita lunghe e delicate. I movimenti del corpo non sono bruschi, ma leggeri e armoniosi. La bocca piccola indica che anche il suo appetito è piccolo e più rivolto alla qualità che alla quantità del cibo: questo tipo mangia con gli occhi. Amando l’arte, la musica, la letteratura, se svolge un lavoro manuale, sceglierà un’attività che richieda pazienza, delicatezza, senso estetico e una fine abilità tecnica, come l’orologiaio o l’ottico. Ma il tipo “puro” non esiste Quanto detto fin qui può considerarsi come un gioco, perché la natura umana è molto

più complessa e sarebbe sbagliato voler far entrare le persone in categorie troppo definite. Questi schemi tipologici nella realtà non esistono, perché ogni corpo, così come ogni volto, è un insieme di varie caratteristiche. Può essere però importante ricordare, solo in linea di massima, che indicativamente una persona che come tipo fisico si avvicina a una determinata tipologia può in qualche modo avere dei tratti che si rifanno a questa. Sta poi a voi verificarne le somiglianze. Una domanda che spesso mi viene posta è: «Ma se una persona gracile si dedica per anni allo sviluppo dei suoi muscoli per diventare grossa e potente, a che tipologia apparterrà?». Io risponderei: «Psicologicamente a quella alla quale con tutti i mezzi ha cercato di assomigliare». Ora, se ne avete voglia, mettetevi davanti a un grande specchio e guardatevi con attenzione (fig. 9).

Fig. 9

Proporzione testa/corpo Per prima cosa osservate le dimensioni della vostra testa in rapporto al resto del corpo; la testa va misurata dalla sommità del capo al mento. La proporzione standard è di circa 1 a 8 (fig. 10). Se, ad esempio, una persona è alta 160 cm, la misura della sua testa è di 20 cm: se è più piccola, la sua costituzione fisica e mentale sarà più debole della media; se la testa è più grande, la persona si presenta più solida della media e sarà più attiva sia mentalmente che socialmente.

Fig. 10

L’altezza Secondo la medicina orientale, le persone più alte tendono a sviluppare maggiormente le capacità mentali e intellettuali e sono più soggette a disturbi respiratori e nervosi. Quelle più basse tendono invece a condurre una vita molto attiva e possono essere più facilmente soggette a problemi digestivi e circolatori. La forma delle spalle Osservate ora com’è l’angolo delle vostre spalle (fig. 11).

Fig. 11

Chi ha le spalle squadrate è una persona più intellettuale o muscolare e preferisce l’attività fisica e sociale; le spalle cadenti, invece, si ritrovano in persone che hanno un carattere più dolce e femminile e che sanno meglio apprezzare il lato estetico della vita. Le spalle di forma arrotondata sono l’ideale: la persona che le possiede ha un carattere più equilibrato, in grado di svolgere al meglio sia le attività fisiche che quelle mentali. Mettetevi ora di profilo, piedi paralleli e ben appoggiati a terra, e cercate di essere il più naturale possibile, senza barare tirando in dentro la pancia o raddrizzando le spalle. Quello che importa è osservare la posizione abituale che il vostro corpo assume, o che sta assumendo in questo periodo della vostra vita.

LE POSTURE DI LOWEN Dipende dall’ambiente in cui siamo cresciuti e dalle vicende subite nella nostra vita il costituirsi di certi meccanismi che vengono poi a fissarsi nel corpo generando specifiche contrazioni dei muscoli, che danno luogo a determinate posizioni fisse o posture. E allora, indipendentemente dal fatto di essere di costituzione gracile o muscolosa, se il nostro corpo ha imparato a dissociarsi dai sentimenti o a negarli, noteremo che questo è riconoscibile da una caratteristica divisione tra la sua parte superiore e quella inferiore o da un netto ingrossamento della parte alta del tronco. Se ci portiamo dietro un continuo bisogno di affetto, il nostro corpo si ricurva; si ingrossa e si abbassa, invece, se trattiene tanta rabbia e ostilità, oppure si irrigidisce per paura di cedere. Lo psichiatra Alexander Lowen, fondatore della bioenergetica, ha studiato i caratteri che si manifestano nelle posture che il corpo assume e anche come alcune di queste possono essere indice di grossi conflitti interni, fissati nella struttura fisica. I cinque disegni che seguono illustrano altrettante posizioni tipiche studiate da Lowen: provate a imitarle, cercando di contrarre i glutei e far rientrare il bacino, o di piegare la testa o le spalle. Mettetevi in contatto con le vostre sensazioni più profonde, cercate di capire come si sente una persona che abitualmente mantiene quella certa postura. Per capirla bisogna imitarla, per percepire come ci si sente nei suoi panni, per arrivare così a cogliere il significato di quel tipo di espressione corporea. E se magari, imitando una persona con petto gonfio e spalle rialzate, trattenendo il fiato provate un senso di paura, forse può capitarvi di rimanere stupiti nel sentire che a parole si dimostra invece coraggiosa e prepotente. Questo significa che quella persona non è in contatto con l’espressione di paura trasmessa inconsciamente dal suo corpo e che per compensazione si sforza di dimostrare il contrario. Postura ripiegata Questa postura si osserva con frequenza nelle persone dal corpo lungo e sottile, con il bacino più stretto del normale e un aspetto da eterni adolescenti, spesso con gli occhiali perché miopi (fig. 12).

Fig. 12

Il loro corpo è come ripiegato, le spalle sono curve, il petto incavato, la testa china in avanti. Le gambe sottili danno l’impressione di non essere in grado di sorreggere il corpo e allora le ginocchia sono rigide, proprio per sostenerlo meglio, mentre i piedi sembra abbiano poco contatto con il suolo. Queste persone hanno difficoltà a stare in piedi da sole nella vita e tendono ad appoggiarsi agli altri, anche se magari mascherano questa debolezza con una esagerata indipendenza. Essendosi sentite deprivate in tenera età dell’affetto materno, ritengono che tutto sia loro dovuto, e che il mondo sia tenuto a mantenerli; ma, nonostante questo, nessuno riuscirà mai a riempire il loro senso di bisogno e di vuoto interiore. Postura divisa in due La persona, che appare come spezzata a metà, ha di solito un corpo magro con i muscoli molto contratti, e può tenere abitualmente i piedi rivolti verso l’esterno, mentre le braccia sembrano lasciate cadere senza vita e il viso sembra fissato in una maschera statica (fig. 13 a pagina seguente).

Fig. 13

Questa persona si è dissociata, fin dalla tenera età, dai suoi sentimenti, perché si è sentita rifiutata come essere umano, e a questo rifiuto ha imparato a rispondere considerandosi superiore e ritirandosi all’interno, per non entrare in contatto con le sensazioni del corpo e la realtà esterna che esso trasmette. Una persona così tende a evitare le relazioni sentimentali, e se le affronta cercherà di comportarsi “come se” provasse dei sentimenti. Il suo corpo, spaccato in due all’altezza della vita, non può integrare la parte superiore con quella inferiore: anche la sua personalità sarà quindi spaccata in atteggiamenti opposti, che possono andare dall’arroganza all’abbattimento, dal considerarsi un santo al credersi un poco di buono. Postura gonfiata Questa postura si riconosce facilmente perché la persona ha le due parti del corpo

notevolmente sproporzionate: quella superiore è di dimensioni maggiori (fig. 14). Il petto è gonfio, il collo teso, il bacino rigido e le gambe contratte appaiono troppo magre rispetto al corpo. Gli occhi hanno un’espressione diffidente, perché non sono aperti alla comprensione degli altri. Alla base c’è la negazione dei sentimenti, non semplicemente un prenderne le distanze, come nella posizione precedente. Questa persona è ostile al suo corpo e alle sensazioni che da esso riceve, e investe quindi molto nella propria immagine.

Fig. 14

Ha bisogno di potere, di dominio e di controllo non solo sugli altri, ma anche su di sé, per non perdere mai la testa, e di solito raggiunge nella società una posizione molto elevata e di successo. Controlla gli altri o prevaricandoli e rendendoli vittime o seducendoli. In ogni caso, malgrado le apparenze, egli sarà anche dipendente dalle persone che crede di tenere sotto controllo. Questo suo bisogno di controllare, infine, è strettamente legato alla paura di essere controllati e quindi usati. Egli ha intimamente bisogno degli altri, ma negando i sentimenti nega di dover esprimere questo bisogno, facendo in modo che siano gli altri a ricorrere a lui. Postura sottomessa Il sottomesso è come una cariatide, una di quelle statue che sorreggono i balconi dei palazzi (fig. 15). Il suo corpo appare schiacciato, di conseguenza risulta più basso, grosso e tarchiato. Il collo è corto e grosso e la testa sembra quasi nascondersi dentro le spalle, che sono girate in avanti. Il bacino è rientrato e i glutei contratti: l’aspetto è quello di un cane con la coda fra le gambe. Il corpo nel complesso è molto muscoloso e spesso ricoperto da una folta peluria.

Fig. 15

Apparentemente questa persona con il suo atteggiamento sottomesso cerca di compiacere gli altri per continuare ad essere il “bravo bambino”, perché solo così crede di poter essere amato, ma dentro di sé prova rabbia e ostilità. Questi sentimenti vengono energicamente bloccati per paura che esplodano in un comportamento violento; per questo sviluppa dei muscoli grossi e potenti che li trattengono e lasciano passare solo il lamento e i piagnistei. Infatti, per il controllo esercitato, l’aggressività è ridotta, come pure il desiderio di autoaffermazione, e allora il comportamento caratteristico diventa l’atteggiamento di sottomissione e di compiacenza. Si sente sempre inferiore perché da bambino è stato umiliato, ma dentro di sé si considera superiore agli altri. Nella vita è frequente che persone con simile postura arrivino a odiare profondamente il loro capo, o chiunque occupi una posizione superiore alla loro. Postura irrigidita Di solito il corpo è ben proporzionato, la testa alta, il collo rigido, la schiena diritta e il petto gonfio (fig. 16). Il ventre appiattito e le gambe contratte sembrano tirare la figura all’indietro, nella tipica posizione “petto in fuori, pancia in dentro!” tenuta dal soldato sull’attenti. Una persona così tende ad avere un carattere inflessibile e orgoglioso; ha paura di cedere perché ciò equivarrebbe alla sottomissione e quindi al crollo.

Fig. 16

La sua circospezione si manifesta nell’abitudine di frenare qualsiasi impulso ad aprirsi verso l’esterno. Trattenersi significa anche tener controllata la schiena: dunque appare rigido. Questo controllo ha avuto origine nell’infanzia, quando si è sentito tradito perché i genitori rifiutavano il suo amore; da allora si è corazzato e ha imparato a non esprimere troppo apertamente questo amore per paura di non essere apprezzato. La frustrazione per questa impossibilità ad esprimerlo genera una profonda tristezza che viene trattenuta dal petto gonfio. LE FISSAZIONI IN BIOENERGETICA È necessario avere alcune nozioni base di un punto importante trattato da Lowen: quello delle fissazioni che determinano nel corpo specifiche strutture. Lowen dice che una persona è “fissata”, cioè è bloccata, «quando è impigliata in un conflitto emotivo che la immobilizza e impedisce qualsiasi azione efficace per cambiare la situazione». In questi conflitti lottano due sentimenti opposti che si bloccano a vicenda, ad esempio: “In famiglia sto male, vorrei tanto andarmene; ma, se me ne vado, non so come mantenermi. Sogno di andarmene e ho paura di farlo, di rischiare”. E si rimane quindi bloccati, sospesi a mezz’aria tra due scelte. In questo caso si può dire che si sta vivendo una fissazione di cui si è perfettamente coscienti, perché si è consapevoli del conflitto che si sta vivendo, anche se ci si sente bloccati e non si riesce a risolverlo. Ma possono esistere anche dei conflitti inconsci, che ci hanno bloccato fin dall’infanzia, e di cui ora non abbiamo più alcun ricordo. «Tutte le fissazioni, come tutti i conflitti emotivi irrisolti, diventano strutturate nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche, che bloccano il corpo in maniere particolari» e che si riconoscono osservando la postura della metà superiore del corpo. Per la bioenergetica una persona fissata è come se fosse “appesa”, cioè avesse perso il contatto con la realtà, e allora, con tecniche specifiche chiamate di “radicamento” (grounding), si cerca di riportare la persona con i piedi per terra. Vediamo alcune delle fissazioni più comuni. L’appendiabiti Una delle posture fissate che si riscontrano più di frequente, soprattutto tra il sesso maschile, è quella definita l’appendiabiti, perché con le spalle sollevate, la testa piegata in avanti e i piedi appena appoggiati a terra, la persona sembra una marionetta appesa a una gruccia (fig. 17). Le spalle rialzate trattengono la paura. Qui le spalle portate sempre sollevate rivelano che la persona è rimasta bloccata in una posizione di paura, che non sa più sciogliere perché non è consapevole di essere spaventata.

Fig. 17

Questa postura non si sviluppa vivendo un singolo episodio, ma si instaura dopo prolungati periodi di continue situazioni paurose. Con il passare del tempo poi quelle si dimenticano e si reprime addirittura l’emozione stessa della paura. Il conflitto di questa posizione è tra l’essere spaventati e, contemporaneamente, negare di esserlo, tenendo la testa in avanti in segno di sfida coraggiosa. La gobba Questa fissazione si è somatizzata a livello delle spalle creando, soprattutto nelle donne non più giovani, una caratteristica gobba, che nasce da un accumulo di collera bloccata in quella posizione, dopo un’intera vita di frustrazioni. Il nostro gatto manifesta la sua collera curvando la schiena e rizzando il pelo (fig. 18).

Fig. 18

Lowen ritiene che la gobba «implichi un conflitto fra un atteggiamento di sottomissione – cioè fare la brava ragazza per compiacere il padre e la famiglia – e violenti sentimenti di rabbia per la frustrazione sessuale che un simile atteggiamento comporta».

Una donna che debba quindi sottomettersi alla richiesta di essere sempre una brava bambina sarà costretta ad assumere un atteggiamento passivo, e la sua collera sarà visibile solo dalla protuberanza concentrata sul dorso. Il mezzobusto Lo stesso tipo di conflitto può generare una postura facilmente riconoscibile nelle donne che appaiono vive e vitali nella parte superiore, mentre la parte inferiore, dal bacino in giù, è rigida e bloccata. L’effetto che si ha è di un mezzobusto appoggiato a un piedistallo di marmo (fig. 19).

Fig. 19

Essere stata collocata dai genitori sopra un piedistallo per rispettare la morale corrente e il dover continuare a recitare il ruolo di brava figlia e poi di moglie modello e madre perfetta finisce per immobilizzare la parte inferiore del corpo, quella degli istinti, delle passioni, della sessualità.

3 COME SI STA IN PIEDI

Avete mai pensato che ci sono diversi modi di stare in piedi anche se apparentemente teniamo tutti le due piante appoggiate a terra? Prima di esaminare che cosa significa nel linguaggio del corpo un determinato appoggio del piede sul terreno, o una particolare posizione delle gambe, osserviamo più da vicino i piedi. LA DIAGNOSI DEL PIEDE Per la medicina orientale i piedi non sono solo il nostro supporto, ma possono rivelare di una persona molto più di quanto si possa pensare. Perché tante persone soffrono di disturbi ai piedi che impediscono loro di camminare comodamente? Di solito, vi rispondono che è colpa di certe scarpe troppo strette; ma perché si formano delle callosità in certi punti? I meridiani Come dice un maestro della diagnosi orientale, il giapponese Ohashi, il cielo riversa energia elettromagnetica sulla Terra sotto forma di raggi solari e di altre radiazioni stellari o planetarie, mentre la Terra è circondata dall’energia elettromagnetica generata dai due poli Nord e Sud. Quindi il nostro ambiente, la stessa aria che respiriamo è carica di energia, cioè di forza vitale. Ognuno di noi, appoggiando i piedi sulla terra, funziona da antenna per le forze elettromagnetiche terrestri e celesti, che caricano il nostro corpo dall’alto e dal basso. Questa energia vitale che anima ciascuno di noi, e che viene chiamata Ki in Giappone, Ch’i o Qi in Cina e Prana in India, scorre nel nostro corpo lungo dodici percorsi ben definiti, che vengono chiamati meridiani. Ognuno di essi può essere paragonato a un fiume di energia che parte da un punto specifico e poi fluisce fino a un altro punto, portando la forza vitale in ogni cellula del corpo umano. Quando uno di questi fiumi subisce un blocco, la forza vitale non può arrivare a una precisa regione, e allora le relative cellule, i tessuti e tutti gli organi ne risentono negativamente, dando origine a sintomi, e in seguito a patologie, di vario tipo.

I meridiani dei piedi I piedi sono il punto di arrivo di ben sei meridiani che, dopo aver percorso il corpo, terminano all’estremità delle dita e sotto la pianta. Ognuno di essi rappresenta un organo. I disturbi dei piedi rivelano quindi un disturbo in atto nell’organo corrispondente. La riflessologia plantare è quella speciale tecnica che permette, stimolando zone specifiche del piede, di attivare l’energia che, scorrendo nei vari meridiani, permette di equilibrare i diversi organi interni. MILZA - Il meridiano della milza parte dall’ascella e, percorrendo tutto il corpo, termina sul lato esterno dell’alluce, vicino all’unghia (fig. 1, punto a). È importante ricordare che il nostro corpo è speculare, e quindi ci sono sempre due meridiani, uno per lato. Quella grossa callosità ossea che si forma in molte persone nella parte esterna dell’alluce e che viene comunemente chiamata “cipolla” indica la presenza di una milza molto affaticata (fig. 2).

Fig. 1

Di conseguenza si può pensare che in quella persona esista una tendenza alla rigidità, non solo fisica, ma anche mentale, che sia quindi molto ostinata e tenda a dominare, a giudicare e a discriminare. Questa forma mentale la può portare ad allontanarsi dagli amici e dalla famiglia. FEGATO - Sull’alluce, nella sua parte interna, arriva anche un altro meridiano, quello del fegato (fig. 1, punto b). Esso è legato ai processi di immagazzinamento delle sostanze nutritive e dell’energia.

Fig. 2

Chi abusa costantemente del proprio fegato diventa progressivamente più iroso e ostile verso gli altri e soggetto a esplosioni emotive difficilmente controllabili. STOMACO - Il meridiano dello stomaco dal viso scende lungo la parte anteriore del corpo e termina sul secondo dito del piede (fig. 1, punto c), che per questo motivo può rivelare molto delle abitudini alimentari di una persona. Se, ad esempio, questo dito è gonfio, vuol dire che lo stomaco è appesantito; se invece è costituzionalmente più lungo degli altri (fig. 3 a pagina seguente), la persona ha uno stomaco molto forte e un appetito robusto, che la porta ad accumulare nello stomaco alimenti che il fegato non è in grado di elaborare. Di conseguenza, come abbiamo detto, con un fegato molto provato si diventa più ostili verso gli altri e soggetti a improvvisi scatti d’ira.

Fig. 3

CISTIFELLEA - Questo meridiano parte dalle tempie, percorre il fianco del corpo e arriva alla punta del quarto dito (fig. 1, punto d). Un grosso callo, spesso presente su questo dito, indica che le condizioni della cistifellea non sono buone, e la persona può manifestare un temperamento piuttosto violento e iroso. VESCICA - Il meridiano della vescica parte dall’angolo interno dell’occhio e, passando sopra la testa, percorre la parte posteriore del corpo, scendendo dal tallone al quinto dito (fig. 1, punto e). Si dice quindi che se questo dito è ben sviluppato e flessibile altrettanto lo sarà la schiena nella zona lombare e, se si tratta di una donna incinta, avrà un parto senza problemi.

RENI - Il meridiano del rene da sotto la clavicola arriva al centro della pianta del piede (fig. 4) in un punto molto importante, che viene chiamato “sorgente zampillante”, perché se questa regione è sana la persona avrà lunga vita e godrà di ottima salute.

Fig. 4

Può essere molto utile massaggiare con una leggera pressione questo punto per rinforzare i reni, che sono la fonte dell’energia primaria di corpo e spirito. Tra l’altro, poiché i reni sono legati come emozione alla paura, e noi diciamo “dalla paura gli sono venuti i capelli bianchi”, questo massaggio può anche servire per prevenire la caduta dei capelli. Sarebbe anzi una buona abitudine per mantenersi in salute massaggiare sempre i piedi e i punti di arrivo dei meridiani, per tenere in equilibrio l’energia dei nostri organi interni ed eliminare molta energia repressa. È bene ricordare che i piedi sono le basi del corpo: pertanto non si può essere felici se si ha male ai piedi. Dita accavallate In generale si dice che, se un dito si sovrappone a un altro, l’organo corrispondente a quel dito è più forte e robusto di quello rappresentato dal dito che rimane sotto. Così, se è l’alluce che si accavalla al secondo dito, il meridiano dello stomaco è più debole di quello del fegato.

Fig. 5

È possibile quindi che la persona che presenta simili dita soffra di disturbi gastrici (fig. 5).

Grandezza La dimensione dei piedi varia da persona a persona e in genere è proporzionata alla taglia del corpo stesso. Piedi più grandi del normale indicano che gli organi della parte centrale del corpo, e rappresentati nei piedi dai relativi meridiani, sono più sani e attivi. In generale si può dire che una persona con i piedi grandi è più portata per l’attività mentale, mentre chi ha piedi piccoli ha una maggiore vitalità fisica. Altezza È significativo, inoltre, per la nostra diagnosi osservare l’altezza del piede: se il dorso del piede è più alto, la persona è più attiva fisicamente. Un arco del piede alto è essenziale per i professionisti del movimento, quali atleti o ballerini. Con un piede più basso e appiattito, che di solito presenta anche una pianta più larga, c’è una tendenza a essere meno attivi fisicamente, ma più portati all’attività mentale e intellettuale. CHE COSA POSSIAMO CAPIRE DALLE SCARPE Se, come abbiamo visto, i piedi sono il punto d’arrivo, lo “scalo ferroviario” di numerosi meridiani corrispondenti ai vari organi del corpo umano, una loro disfunzione può modificare il peso del corpo in un determinato punto e di conseguenza consumare le suole delle scarpe in maniera non uniforme. Sollevate il piede, giratelo e guardate con attenzione le suole delle scarpe che indossate: di solito voi le consumate sempre sul tacco, di fianco o al centro? Cerchiamo di capirne un po’ di più, perché anche le scarpe possono rivelare molti particolari della vita di una persona, soprattutto lo stato di salute, il carattere e la condizione economica. Le suole delle scarpe sono di solito nascoste, ma sono proprio le cose più nascoste quelle più rivelatrici. Inoltre l’abbigliamento, cioè ciò che noi scegliamo per coprirci, indica ciò che noi vorremmo essere o apparire; le scarpe, invece, mostrano come siamo in realtà. Spesso le scarpe sono la parte meno curata di un abbigliamento. Una persona cerca di vestirsi con attenzione e non penserebbe mai di uscire con un abito sporco o macchiato, mentre può ritenere meno importante calzare una scarpa sporca. E allora: chi ha le scarpe sempre ben pulite è una persona che con altrettanta cura si occupa di tutti i minimi dettagli della sua vita, prestando molta attenzione ai particolari. Se le scarpe sono abbastanza curate, si dà maggiore importanza nella vita alla sostanza piuttosto che all’apparenza. Scarpe molto sporche e rovinate, se non sono segno di grande difficoltà economica, indicano che la persona ha una grande confusione nella sua testa e nella sua vita. Alcuni si affezionano alle loro scarpe vecchie, dalle quali non riescono a separarsi, così come

soffrirebbero a separarsi dalle persone care e dalle vecchie abitudini consolidate.

Fig. 6

E allora in una persona ben vestita, con un paio di scarpe vecchie e comode ai piedi, si nota la contraddizione tra il dover rivestire un ruolo che gli altri si aspettano e il sentire che in fondo quel compito è troppo impegnativo e che ne farebbe volentieri a meno (fig. 6). Condizioni economiche Le scarpe inoltre rivelano le possibilità economiche di una persona, perché pare dimostrato che raramente si spenda per un paio di scarpe più di quanto possiamo permetterci. Se non si hanno molte possibilità, si preferisce spendere i soldi per un bel vestito, piuttosto che per un paio di scarpe di valore. Chi porta d’abitudine scarpe costose è, o vuole apparire, una persona agiata. Le suole Se la punta della suola è consumata (fig. 7, punto b), il meridiano dello stomaco è molto attivo, quindi la persona ha sempre fame, non solo di cibo, ma anche metaforicamente: è quindi sempre impaziente, piena di voglia di vivere e di fare. La suola della scarpa si consuma anteriormente perché la persona cammina portando il peso spostato, proiettato in avanti. Se la zona consumata corrisponde a quella dell’alluce (fig. 7, punto a), la persona, con un eccesso di energia nel meridiano del fegato, è molto determinata nel lavoro e nel raggiungimento dei suoi obiettivi. L’emozione legata al fegato è la rabbia, e questa infatti potrà sempre far capolino.

Fig. 7

Se invece la parte più consumata è il tacco (fig. 8), la persona ha i reni affaticati e può soffrire di dolori lombari, per la sua abitudine a camminare con il peso del corpo spostato all’indietro. Anche psicologicamente è quindi lenta, alla continua ricerca di sicurezza ed esitante nell’affrontare il futuro e le novità.

Fig. 8

La parte interna della suola rivela le condizioni del fegato e della milza (fig. 9). Per consumare le scarpe in questo modo probabilmente la persona ha le ginocchia valghe e poggia molto peso sulla parte interna del piede. Si tratta di una persona abbastanza schiva, timida e forse frustrata sessualmente. Per la posizione squilibrata del corpo soffre di dolori al collo e alle spalle.

Fig. 9

Si consuma invece la parte esterna della suola (fig. 10) se il peso del corpo poggia prevalentemente sulla parte esterna del piede, in corrispondenza dei meridiani della vescica e della cistifellea. La persona può avere le gambe un po’ arcuate ed essere sovrappeso; avere uno sviluppato senso pratico, ma la tendenza ad essere piuttosto paurosa, ostile e collerica. Lo squilibrio dell’appoggio sui piedi può causarle dolori cronici alle spalle.

Fig. 10

Odore Con un olfatto molto raffinato si può addirittura arrivare a distinguere il tipo di odore emanato dalle scarpe. Sempre che abbiate voglia di cimentarvi in un compito così sgradevole e che abbiate sensibilità olfattiva, potete provare a riconoscere che tipo di odore emana un paio di scarpe, perché da questo si possono individuare le disfunzioni di cui soffre una persona. Se le scarpe emanano un odore molto forte, aspro ed estremamente sgradevole, forse il proprietario di quelle scarpe è una persona grossa, che suda molto perché ha i reni affaticati e magari soffre di ipertensione arteriosa. Se invece riuscite a cogliere un odore dolciastro, la persona forse soffre di diabete, o in ogni caso ha disturbi legati alla milza e al pancreas. Anche un odore salato indica che i reni sono affaticati, mentre se è pungente ci possono essere disturbi all’intestino crasso. PESO A DESTRA O A SINISTRA Una persona equilibrata sta ben bilanciata anche sui due piedi, distribuendo il peso in modo uniforme tra la punta e il tallone: la sensazione che se ne ricava è di stabilità. Alzatevi in piedi, andate di fronte allo specchio, fermatevi e osservate se il peso del vostro corpo è distribuito uniformemente o se poggiate di più su un piede. Sul destro o sul sinistro? L’emisfero sinistro del nostro cervello è la sede del pensiero logico e razionale, quello destro delle emozioni e delle intuizioni (fig. 11).

Fig. 11

La metà destra del nostro corpo è guidata dall’emisfero sinistro, la metà sinistra da quello destro. Se stando in piedi poggiamo il peso maggiormente a destra, è con la modalità razionale che in quel momento siamo in relazione e, mentre facciamo questo, stiamo controllando le emozioni. Chi si appoggia prevalentemente sul piede sinistro preferisce entrare in contatto con la sua emotività e intuizione, usando poco il pensiero razionale. Quando stiamo parlando con una persona in piedi di fronte a noi, osserviamo dove poggia il peso e come sposta il baricentro da una parte all’altra nel corso della conversazione. Questo ci serve per capire con quale modalità in quel momento ci sta ascoltando: se sta portando il discorso sull’emotivo, o se vira verso il mentale. Se, ad esempio, ha il peso sul piede sinistro e poi si sposta sul destro, forse è passata da uno stato interno emotivo a un atteggiamento razionale, dalla simpatia alla logica. Se avviene il contrario, forse la persona non vuole più seguirvi sul piano mentale, ma sta entrando in contatto con le sue emozioni e forse vuole instaurare con voi un rapporto più amichevole e meno formale. Prima di dedurre questo, accertatevi però che non le dolgano le scarpe. CAMBIARE POSIZIONE Si usa dire “non mi smuovo dalla mia posizione” oppure “sto fermo sui miei passi”. Se una persona non si sposta, ma resta ferma con i piedi in una posizione, è fermo anche il suo punto di vista. Se volete provare a farle accettare la vostra idea e cercare di smuoverla, dovrete riuscire a farla spostare fisicamente. Metaforicamente noi diciamo “perché non provi a vedere le cose da un altro punto di vista?”. Con il movimento cambia lo stato mentale.

Ce ne accorgiamo quando ci sentiamo bloccati e non riusciamo ad andare avanti con un lavoro, come se il nostro cervello girasse a vuoto. D’istinto ci alziamo e facciamo due passi: a volte è sufficiente per vedere il problema “in un’ottica diversa”. LA DIREZIONE DEI PIEDI I piedi indicano sempre il senso verso il quale la nostra testa è rivolta e verso quale direzione vogliamo andare. Se ci stiamo dirigendo in un luogo e una persona ci ferma per parlarci, probabilmente ci arrestiamo, giriamo la testa per guardarla, le rispondiamo e sorridiamo, ma forse i nostri piedi continuano a restare rivolti verso il luogo ove eravamo diretti. L’altro, a livello istintivo, forse si sentirà a disagio, in quanto starà avvertendo il doppio messaggio che gli stiamo inviando: sembriamo intenti ad ascoltarlo, ma siamo mentalmente altrove e in realtà non siamo affatto interessati. I nostri piedi lo rivelano (fig. 12). Quando in una trattativa uno dei due gira i piedi verso la porta, significa che per lui il discorso è finito e desidera andarsene. Le punte dei piedi, come vere e proprie frecce, indicano anche l’interesse che una persona prova per un’altra.

Fig. 12

Quindi, in un gruppo di persone ferme in piedi a parlare, osservate verso chi puntano l’un l’altro i piedi; se tra di esse c’è una ragazza carina, magari è verso di lei che si ritrovano puntati dei piedi (fig. 13). Se lei se ne accorge, può decidere di tenere i piedi allineati in posizione neutrale, oppure ricambiare, girando la punta di uno dei suoi piedi verso la persona che le interessa.

Fig. 13

Tutto questo, è importante ricordarlo, avviene a livello inconscio: in questa fase è solo il corpo che sta parlando, mentre le persone intente a conversare non sono ancora coscienti della dinamica che si sta instaurando. Di solito, si nota se due persone che stanno in piedi permettono ad altri di unirsi alla loro conversazione dalla posizione assunta dai loro corpi. Se sono disposte una di fronte all’altra formano una posizione chiusa: si stanno dedicando interamente l’una all’altra. Se una terza persona cerca di avvicinarsi, per unirsi alla conversazione, potrà capire se è ben accetta o meno, osservando se ci sono dei movimenti nelle posizioni del busto e dei piedi delle due persone. Se restano ferme, girando solamente la testa verso il nuovo venuto, lo stanno ascoltando per cortesia, ma lo considerano un intruso: il cerchio non si apre (fig. 14).

Fig. 14

Se invece i due ruotano i piedi e si girano verso la terza persona, quasi a formare un triangolo, ella sarà accolta nella conversazione (fig. 15).

Fig. 15

Quindi, quando desideriamo che altre persone si uniscano alla nostra conversazione a due, non restiamo di fronte uno all’altro, ma scopriamo che inconsapevolmente i nostri corpi incominciano a ruotare leggermente di fianco, fino a porsi sui lati di un invisibile angolo di 90°. Questa posizione trasmette automaticamente alle persone presenti la nostra apertura e disponibilità (fig. 16).

Fig. 16

POSIZIONI DELLE GAMBE Gambe incrociate Come dicevamo, quando una persona si ferma in piedi può restare tranquillamente appoggiata su due piedi, o con il peso spostato da un lato, ma tenendo le gambe normalmente ravvicinate; se invece le incrocia è segno che si sta proteggendo: forse è a disagio in un ambiente che non conosce e allora si chiude, cercando magari di fingersi disinvolta (fig. 17). Vedremo più avanti il significato e l’origine di questi gesti chiamati

“barriere”. Gambe larghe Se si resta minacciosamente in piedi con le gambe larghe, il messaggio che il corpo invia è piuttosto eloquente: come l’animale che rizza il pelo per sembrare più grosso per riuscire a intimorire l’avversario, così due gambe divaricate e piantate saldamente per terra sfidano chiunque e tendono a far apparire la persona più forte o più importante (fig. 18). Molto dipende, a questo punto, dalla gestualità delle braccia. Gambe strette Chi si trova fermo in piedi con le gambe serrate e le ginocchia rigide dà l’impressione di non farcela a stare in piedi per l’emozione o l’insicurezza e sembra stia puntellando le gambe con delle stampelle, perché ha bisogno di appoggio (fig. 19).

Fig. 17

Fig. 18

Fig. 19

4 COME SI CAMMINA

LE ANDATURE Il nostro modo di camminare, così come l’impatto visivo del nostro corpo, parla per noi. È la prima cosa che viene notata dagli altri quando ci troviamo in pubblico. Come camminate di solito? Qual è la vostra andatura? Forse non lo sapete con esattezza e a questa domanda rispondereste: “io cammino normalmente, come tutti”. Per rendersi conto di questo, durante i miei corsi, gli allievi vengono invitati a camminare mentre una cinepresa li riprende di fronte, di schiena e di fianco. Anche voi chiedete a qualcuno di riprendervi mentre camminate; osservando il filmato sicuramente vi stupirete nel riscontrare nella vostra andatura tanti piccoli particolari ai quali non avevate prestato attenzione, un certo modo di appoggiare i piedi per terra o di tenere la testa. Se voi foste quello sconosciuto che sta ancora percorrendo il corridoio per presentarsi a un colloquio di lavoro, come camminereste? La vostra andatura a quale delle quattro immagini della figura 1 (a pagina seguente) sarebbe più simile?

Fig. 1

Facciamo un piccolo gioco: sapreste attribuire ai quattro personaggi della figura 1 i pensieri elencati qui sotto? a) “Non ho nessuna voglia di andarci. Potevo fare a meno di prendere l’appuntamento”: immagine n. … b) “Vado subito a vedere di che cosa si tratta. Poi deciderò il da farsi”: immagine n. … c) “Sarò sicuramente scartato. Essere venuto fin qui non servirà a niente”: immagine n. … d) “So che cosa mi aspetta. Ho ben chiaro il problema”: immagine n. … Sicuramente avrete individuato, dal portamento diritto, testa alta, piedi ben piantati per terra, che la persona dell’immagine n. 1 è concreta, appare sicura, ben cosciente dei suoi mezzi e ancorata al presente (risposta d). La persona dell’immagine n. 2 procede con la schiena ricurva e le spalle piegate, da eterno sconfitto; i suoi piedi si trascinano a piccoli passi, con la triste certezza del sicuro ennesimo fallimento (risposta c). L’andatura del terzo personaggio (immagine n. 3) la vediamo di frequente di prima mattina tra gli studenti che devono, loro malgrado, recarsi a scuola, sapendo di non essere preparati per il compito in classe. I piedi avanzano, ma la testa, la parte pensante,

resta indietro come a voler arrivare sul posto il più tardi possibile, manifestando così a livello non verbale di andare contro voglia (risposta a). L’ultima immagine (n. 4) raffigura una persona che cammina con una posizione contraria alla precedente. Qui è la testa che, senza riflettere, si protende in avanti perché è curiosa di arrivare subito per sapere. È l’andatura della persona molto attiva, decisa, che spesso agisce prima ancora di riflettere (risposta b). Stati d’animo La nostra andatura varia quindi a seconda degli stati d’animo, e finisce così per influenzare involontariamente gli altri, prima ancora che noi iniziamo a parlare. Immaginate di essere entrati in un negozio e di aver deciso, dopo una lunga scelta, di acquistare un capo costoso. Arrivati a casa e aperta la confezione, vi rendete conto che vi è invece stato rifilato un abito sbagliato. Vi sentite imbrogliati e siete infuriati: decidete allora di ritornare nel negozio. Provate a immaginare quale sarebbe la vostra andatura mentre avanzate verso la commessa. I vostri passi sarebbero rapidi e decisi, il corpo rigido, i pugni serrati, il tono di voce più alto del solito. La persona che vi vedesse entrare in quel modo si sentirebbe subito irritata e potrebbe nascere uno spiacevole alterco, oppure potrebbe restare intimorita dalla vostra determinazione a non andarvene senza prima aver ottenuto quello che desiderate. Immaginate ora la stessa scena ma con una variante. Quando ritornate a casa e vi provate l’abito, vi accorgete che non vi piace più o che vi sta male e temete che non vi venga sostituito, perché avete aperto la confezione. Voi rimettete tutto nel sacchetto e decidete di ritornare per scusarvi dell’acquisto sbagliato e chiedere gentilmente se sia possibile sostituirlo. Vi sentite in colpa e sapete di essere in una posizione di debolezza: quale sarebbe in questo caso la vostra andatura rientrando nel negozio? Passo lento ed esitante, testa un po’ china, mano con il palmo aperto, tono di voce basso e cortese. In una bella giornata di sole sedetevi a un tavolino di un bar, in una strada affollata, e osservate le persone che passeggiano davanti a voi (fig. 2). Osservate il loro modo di camminare: c’è chi cammina con passo affrettato e nervoso perché ha sempre tante cose da sbrigare e, se non le ha, fa in modo di trovarle. C’è la persona che con passo trascinato percorre tristemente e faticosamente la sua vita. C’è la giovane donna che dall’alto dei suoi tacchi vertiginosi avanza saltellando: sembra un’eterna bambina insicura. Poi vediamo la donna consapevole del suo fascino che si muove con passo sensuale, da felino, e quella invece che, scarpe basse e abbigliamento sportivo, cammina con passo elastico. La persona che avanza lentamente con la testa tra le nuvole e quella che osserva con cura meticolosa e diffidente dove mette i piedi.

Fig. 2

Il tempo Il nostro modo di camminare è inoltre in stretto rapporto con l’idea che noi abbiamo del tempo. Ci rivela se siamo ben ancorati nel presente, nel “qui e ora”, o se siamo tutti protesi attivamente in avanti verso il futuro, verso ciò che faremo. Oppure, la ritrosia che appare dai nostri passi è quella che ci fa affrontare con timore la vita e le novità e ci tiene come piegati all’indietro, a ciò che è più sicuro in quanto conosciuto. L’ambizione spinge in avanti, la paura trattiene indietro. L’uscita Siamo sempre coscienti, quando entriamo in una stanza, dello sguardo delle persone rivolto nella nostra direzione: sappiamo di essere guardati e, di solito, cerchiamo di atteggiarci nel modo che a noi sembra migliore. Spesso però ci dimentichiamo di una verità fondamentale: è soprattutto quando lasciamo una stanza che veniamo osservati, valutati, giudicati. Ed è proprio allora che la nostra schiena curva e il passo trascurato firmano in maniera più o meno positiva il nostro intervento. Ricordiamoci quindi che lasciare un posto e allontanarsi girando le spalle a una persona è forse più importante dell’andare incontro a qualcuno, perché la nostra schiena non ha da offrire come diversivo un bel sorriso o uno sguardo aperto (fig. 3).

Fig. 3

IL PASSO Abbiamo tutti un modo caratteristico di camminare che ci rende riconoscibili da lontano, e naturalmente questo diverso modo di muoverci dipende, oltre che dal nostro umore, come abbiamo visto, anche dal sesso, dall’età e dallo stato di salute. Sembra ovvio, ma è importante ricordarlo prima di mettersi a valutare l’andatura di una persona. Possiamo muoverci per raggiungere un luogo percorrendo la distanza che ci separa a una certa andatura. Chi fa grandi passi pensa alla grande, non solo in senso metaforico: è quindi una persona con molte ambizioni e grandiosi obiettivi, per il raggiungimento dei quali è disposta a rischiare tutto. E allora, per la legge degli opposti possiamo dire: “piccoli passi, piccole idee”, e questo è alla fine vero. Chi avanza un piccolo passo dopo l’altro è una persona pedante, che cerca prima di verificare tutto meticolosamente, che non vuole rischiare e deve prima essere sicura. L’appoggio a terra Per la sua stessa conformazione, il piede per camminare effettua in sequenza tre tipi di appoggio. Prima tocca il suolo il tallone, poi il peso del corpo si distribuisce uniformemente sulla pianta del piede e, infine, il tallone si solleva e il corpo poggia tutto sulla punta per dare lo slancio e sollevarsi nuovamente. Osservando però il modo in cui le persone appoggiano i piedi a terra quando camminano, vediamo che, rispetto a questa andatura ideale e corretta, possiamo notare delle differenze. Il modo in cui appoggiamo, più o meno pesantemente, il piede al suolo indica il nostro rapporto con la realtà. E allora una persona che si appoggia solo sulle punte e cammina come saltellando leggera, anche fisicamente, sembra che non abbia molto desiderio di

essere in contatto con la realtà.

Fig. 4

È l’appoggio tipico della persona insicura, idealista e sognatrice (fig. 4). Ne consegue che, invece, chi poggia bene a terra i piedi, come per controllare la solidità del terreno ed esservi il più aderente possibile, non è una persona dinamica ed energica (fig. 5). Lo è invece se il piede è arcuato e sembra agganciarsi al terreno, dando l’impressione di stabilità ed equilibrio (fig. 6).

Fig. 5

Chi invece quando poggia i piedi a terra sembra marciare pesantemente battendo al suolo i talloni, e di conseguenza facendo rumore, un po’ arrogante ed egocentrico, vuole che gli altri si accorgano della sua presenza (fig. 7).

Fig. 6

Fig. 7

LA DIREZIONE DEI PIEDI Teoricamente, quando si cammina, i piedi dovrebbero avanzare paralleli lungo un binario invisibile. Riguardate il filmino del vostro modo di camminare. Le punte dei piedi mentre avanzate possono essere: – parallele; – girate un po’ in dentro; – girate un po’ in fuori. Se le nostre scarpe fossero due lunghi sci, sapremmo che per avanzare velocemente è

necessario tenerli paralleli. Se allarghiamo le code in modo che le punte siano rientranti, freniamo la velocità; se invece le punte si girano in fuori, l’energia della discesa, canalizzata in due opposte direzioni, ci fa cadere. In dentro Chi cammina con le punte dei piedi rivolte all’interno è come frenato nel suo avanzare, e verso l’interno rivolge anche i suoi pensieri e le sue emozioni. È una persona introversa, chiusa in se stessa, e anche la posizione del suo corpo, probabilmente con le spalle ricurve e la testa piegata, indica un atteggiamento mentale di chiusura (fig. 8).

Fig. 8

In fuori Il personaggio di Charlot era un sognatore, non certo un uomo d’azione (fig. 9). Avete presente la sua andatura con i piedi girati in fuori?

Fig. 9

Chi avanza con le punte girate verso l’esterno vorrebbe andare avanti, ma nello stesso tempo si disperde a destra e a sinistra. È una persona che, magari dandosi tono, cerca di mostrarsi sicura e determinata, ma i suoi piedi ci segnalano invece che ha tendenza a distrarsi. O meglio ancora, se è il piede destro a puntare in fuori, egli tende a usare più del necessario la sua parte mentale; se è il sinistro a estroflettersi, è invece influenzabile emotivamente. Allineati Che cosa dire di chi cammina allineando i piedi uno dietro l’altro, come se stesse muovendosi su un’asse d’equilibrio? Vi ricordate come si muoveva Marilyn Monroe (fig. 10)?

Fig. 10

Spesso le donne per essere seducenti camminano in questo modo, ma la difficoltà di appoggio rende l’andatura oscillante e apparentemente insicura, e ciò la rende attraente agli occhi degli uomini.

Il messaggio che il corpo della donna trasmette è: “sono debole, fragile e non pongo alcuna difesa. Tu puoi proteggermi…”. Questo modo di camminare viene insegnato alle indossatrici per sfilare in passerella. C’è inoltre un’andatura caratteristica che, come questa, fa portare alternativamente il peso del corpo da una parte e dall’altra, e la persona sembra oscillare continuamente tra ragione e sentimento, non riuscendo mai a decidersi. Una persona sempre indecisa avanza con questo passo dondolante da grossa anatra.

5 COME SI STA SEDUTI

DIRITTI SULLA SEDIA? Prendete una sedia normale, sedetevi davanti a uno specchio, nel modo a voi più naturale, e poi guardatevi: come sono messe le vostre gambe? La vostra schiena è diritta, appoggiata all’indietro sullo schienale o piegata in avanti? Ora, per il principio dell’imitazione, provate a sedervi proprio sull’orlo della sedia, piegate la schiena in avanti, abbassate la testa, appoggiate le braccia alle ginocchia o lasciatele scivolare verso il basso (fig. 1). Che cosa provate stando seduti in questo modo? Forse vi accorgete di essere a disagio, “sulle spine”, e magari vi sentite pronti ad andarvene.

Fig. 1

Oppure vi ricordate di un vostro conoscente che abitualmente nei momenti di disagio, quando è messo alle strette, si siede in questo modo e poi con un pretesto si alza e si allontana. È importante osservare bene questa posizione perché, se la persona chinata in avanti afferra i bordi della sedia, è come se fosse “ai blocchi di partenza”: sta per porre fine al discorso (fig. 2). Nel caso fossimo noi a parlare e ci accorgessimo che il nostro interlocutore assume questa posizione, possiamo cercare di concludere rapidamente quanto stiamo dicendo e alzarci per primi, soprattutto se soffriamo nel sentirci piantati in asso. Ora, restando seduti nella stessa posizione, appoggiate la schiena all’indietro contro lo schienale. Forse in questo modo vi sentite più comodi e rilassati e allora

automaticamente le vostre gambe si spostano e magari si accavallano o si allungano. Una persona che è a suo agio e sa, o presuntuosamente crede di saperne più degli altri, può assumere di frequente questa posizione rilassata nel corso di una conversazione (fig. 3).

Fig. 2

Fig. 3

Tornate adesso a sedervi normalmente al centro della sedia, non più sul bordo, e tenete la schiena diritta e le gambe appoggiate a terra, ma non accavallate. In questa posizione ci si sente più attenti e interessati a quanto può venire detto e a quanto ci circonda (fig. 4).

Fig. 4

Con questo semplice esercizio abbiamo sperimentato che quando una persona è interessata si raddrizza sulla sedia, mentre si abbandona quando è stanca o disinteressata. Se non vuole perdere nemmeno una parola di quello che si sta dicendo si piega in avanti, se invece vuole prendere le distanze resta con la schiena appoggiata allo schienale. Occupa tutta la sedia per manifestare la sua intenzione di esserci completamente, o si siede sul bordo perché si sente “provvisoria”, perché ha poco tempo e vuole andarsene presto o, forse, si aspetta che le venga ordinato di alzarsi. L’IMITAZIONE

Due persone si siedono una di fronte all’altra quando tra di esse c’è un rapporto, uno scambio di sentimenti o di informazioni. Di solito ci si siede invece di fianco quando si compie una qualsiasi attività che si potrebbe tranquillamente svolgere da soli, come guardare la televisione o ascoltare un concerto. Dal modo in cui due persone stanno sedute di fianco si può capire che genere di rapporti intercorrono tra di loro. Se sono sedute girando le gambe l’una verso l’altra, si crea un circolo chiuso, una certa intimità, che può essere accentuata se la loro posizione è speculare. Imitare la stessa posizione è infatti un segno di approvazione, indica che si è d’accordo e in sintonia con la persona che si copia. Un dipendente che si trova d’accordo con quanto dice il suo capo inconsciamente imiterà la sua posizione, accavallando le gambe allo stesso modo. Allora, se volete far capire a una persona che siete d’accordo con lei, copiate i suoi gesti. Si riconosce il leader all’interno di un gruppo, o di una famiglia, perché è quello che cambia posizione per primo e gli altri lo imitano. Indicativamente si può inoltre dire che: finché perdura l’imitazione della posizione, le persone sono d’accordo; quando le loro gambe si spostano, e i piedi vengono puntati in direzione opposta, il momento di armonia può essersi esaurito. Angoli e triangoli Vi ricordate il discorso dei triangoli che si possono creare stando in piedi? La stessa dinamica si può osservare anche quando si è seduti. Due persone sedute sullo stesso divano e girate l’una verso l’altra nella stessa posizione creano un cerchio chiuso che può anche superare ed escludere un’eventuale terza persona seduta nel mezzo (fig. 5). Quest’ultima può venire ammessa nella conversazione solo se si sposta e si colloca con una sedia di fronte ai due, cercando di trasformare la posizione chiusa in un triangolo.

Fig. 5

LE GAMBE COME DIFESA Quando ci sentiamo minacciati cerchiamo di proteggerci nascondendoci dietro a un oggetto o a una persona. Da bambini, quando ci sentivamo intimoriti, cercavamo

protezione rifugiandoci dietro alle gonne della mamma o dietro a una sedia (fig. 6).

Fig. 6

Crescendo comprendiamo che questo sistema non è più praticabile; allora impariamo un poco alla volta a dissimulare il nostro bisogno di rifugio, dapprima incrociando le braccia. Poiché anche questo è un gesto evidente, più o meno durante l’adolescenza lo mascheriamo e ci limitiamo ad accavallare le gambe per proteggerci. Con le braccia incrociate istintivamente si protegge il cuore; con le gambe accavallate, invece, si difendono i genitali. Gambe accavallate Il gesto di accavallare le gambe indica quindi un moto di chiusura, di difesa, perché una persona totalmente a proprio agio tiene le gambe più sciolte. Le gambe in questa posizione, come abbiamo visto, possono inoltre escludere o includere altre persone e diventare un gesto “concordante”, cioè di imitazione della persona con la quale si è d’accordo. È interessante comunque notare se, mentre stiamo parlando, le persone che ci ascoltano accavallano le gambe: possono farlo per abitudine o comodità, ma se questo gesto si accompagna anche a braccia conserte, allora è sicuro che non ci stanno più ascoltando, hanno delle grosse riserve o si sentono attaccate (fig. 7).

Fig. 7

Gambe “a quattro” Una variante più aggressiva della posizione a gambe accavallate è quella detta “a quattro”, perché la caviglia si appoggia sul ginocchio dell’altra gamba (fig. 8). La persona così seduta disapprova quanto sta succedendo, ma resta per il momento in silenzio; è pronta ad attaccare e lo farà al più presto, uscendo dalla posizione di difesa.

Fig. 8

Il blocco può essere accentuato se con una o entrambe le mani si cerca di tenere bloccata la caviglia, quasi a impedirle di sferrare un calcio. La persona così seduta si presenta quindi ostinata e irremovibile (fig. 9). Anche la posizione delle gambe può esprimere quindi lo stato emotivo presente, in un certo momento, in una persona.

Fig. 9

Ma bisogna sempre essere molto cauti nel trarre conclusioni, perché un singolo gesto da solo può anche non indicare nulla. Conosco un relatore che quando tiene i suoi corsi ha sempre le gambe nella posizione “a quattro”: poiché non fa uso di tavoli o di altri supporti, per lui è comodo usare la gamba, tenuta sollevata, come sostegno per i suoi appunti. Caviglie incrociate

Anche incrociare le caviglie segnala l’esistenza di un atteggiamento negativo o difensivo. Questo gesto spesso si accompagna a una posizione rigida del corpo, con le mani strette a pugno, che forse stringono i braccioli della sedia, e i denti che mordono il labbro inferiore. Così seduti si manifesta forte nervosismo e paura; serrando le caviglie si cerca di controllare una possibile reazione emotiva, o si cerca di non farsi uscire di bocca un’informazione (fig. 10). Se pensiamo di restare seduti con le gambe o le caviglie incrociate perché per noi è una posizione comoda, ricordiamoci che forse lo è quando ci troviamo in un momento di chiusura o di riservatezza.

Fig. 10

Se ogni volta che ci sorprendiamo in una simile posizione provassimo a cambiarla, sciogliendo la chiusura, anche il nostro stato d’animo potrebbe lentamente cambiare e aprirsi di più agli altri. ALTRI MODI DI SEDERSI A gambe larghe L’uomo che si siede con le gambe divaricate inconsciamente mette in mostra i genitali, la sua virilità. E questo gesto, come lo è per gli animali, indica desiderio di dominio sugli altri; in questo modo si sfidano gli altri maschi del branco o si manifesta la propria intenzione di corteggiare una femmina (fig. 11). Come già abbiamo visto, mentre siamo seduti il piede indica le nostre intenzioni: la nostra simpatia se è rivolto dalla parte della persona verso la quale siamo girati; la nostra aggressività se invece oscilla, con leggeri movimenti che sembrano calci trattenuti, indirizzati magari verso chi, seduto di fronte a noi, ci prevarica con una posizione a gambe larghe. Il nostro corpo avverte l’aggressività nascosta in quella posizione e da essa si difende scalciando simbolicamente contro gli attributi di quella virilità dominante.

Fig. 11

A cavalcioni Chi si siede a cavalcioni, girando la sedia e appoggiandosi con le braccia sullo schienale, vuole sembrare rilassato e amichevole e in questa posizione si sente coraggioso e, nello stesso tempo, protetto (fig. 12). La sedia diventa un cavallo e lo schienale il suo scudo per difendersi. Forse si tratta di una persona che desidera dominare, ma la sua insicurezza di fondo le impedisce di farlo in maniera diretta; così, girata la sedia, cerca di prendere il comando del gruppo o della situazione.

Fig. 12

Per disarcionare questa persona aggressiva una volta che sia riuscita a monopolizzare la conversazione, cercate di spostarvi in modo da trovarvi seduti di fianco o leggermente dietro. La vostra posizione la metterà a disagio, costringendola a girarsi spesso verso di voi, sentendosi attaccata da un lato non protetto. Un altro modo è quello di stare in piedi di fronte a lei e di avvicinarvi molto fino a invadere il suo spazio personale, obbligandola, se vuole parlarvi, ad assumere una posizione non naturale con il mento molto sollevato. In ogni caso correte ai ripari, o una persona che è solita sedersi in questo modo, una volta guadagnata la posizione a cavalcioni, vi sfinirà tenendo il discorso tutta la serata. Se poi la invitate nuovamente, abbiate l’accortezza di far sparire tutte le sedie normali. Su uno sgabello, una sedia con braccioli o una poltrona è impossibile montare a cavallo.

Dondolarsi Ci sono poi le persone, magari un po’ leggere e superficiali, che amano, nelle pause di un discorso, dondolarsi all’indietro sulla sedia (fig. 13). Se in quel momento voi state parlando, un simile gesto impaziente vi può mettere un po’ in ansia e spingervi a concludere in fretta, perché vi sentite osservati e vi aspettate che da un momento all’altro quella persona smetta di dondolarsi e si chini bruscamente in avanti interrompendovi, per far quasi cadere dall’alto la sua opinione. Mentre si dondola è come se stesse dicendo: “io ho già trovato la soluzione, sbrigati a parlare che te la dico”.

Fig. 13

Gamba appoggiata

Fig. 14

Il gesto di appoggiare una gamba sul bracciolo della sedia costituisce un modo piuttosto rilassato e informale di sedersi quando si è tra amici. Può, invece, rivelarsi sgradevole se lo si mantiene mentre chi è seduto di fronte a noi ci sta parlando di cose importanti, perché allora questo atteggiamento sta a significare: “non mi interessa minimamente quanto stai dicendo, sono tutte sciocchezze” (fig. 14). Questa posizione di indifferenza può creare ostilità se viene prolungata. Porgere alla persona così seduta un oggetto, per afferrare il quale debba cambiare posizione, potrebbe essere sufficiente a farle abbassare la gamba. Sul bracciolo

Fig. 15

Chi si siede sul bracciolo di una poltrona vuole sembrare a proprio agio e disinvolto, ma un simile gesto nasconde una certa insicurezza (fig. 15). Se poi quella poltrona è occupata, in questo modo si cerca di dominare dall’alto chi vi sta seduto, forse anche per sottolineare il proprio grado di confidenza o di possesso. Come nella posizione a cavalcioni, questo è un altro modo di sedersi un po’ più in alto degli altri e, con finta disinvoltura, cercare di dominarli. Sollevarsi Avete mai notato che a volte capita di sollevarsi un attimo dalla sedia, per poi sedersi nuovamente? In quel frangente, magari, ci si aggiusta la piega della giacca o si dice che la sedia è scomoda.

Fig. 16

Questo movimento inconscio, in realtà, viene compiuto quando siamo colti da una sensazione sgradevole e allora è come se non volessimo restare più lì ad ascoltare. Quando ci si trova in una situazione spiacevole si è come “sulle spine”. Un bambino, quando si sente a disagio, si agita sulla sedia desiderando andarsene; un adulto maschera questa gestualità troppo evidente, manifestando il suo malessere con leggerissimi cambiamenti della posizione seduta, che altro non sono che tentativi repressi

di fuga (fig. 16). COME SI SIEDONO LE DONNE Non vi siete mai accorti che le donne hanno dei modi particolari e abbastanza tipici di sedersi? Esistono posizioni delle gambe e modi di stare seduti che si riscontrano soprattutto nelle donne vestite in modo tradizionale, non tanto quando indossano pantaloni e si sentono più libere nei movimenti. Alcune posizioni a gambe unite possono essere infatti, oltre che il frutto di una buona educazione, le uniche possibili se si indossano gonne molto strette o corte. Punte in fuori Una donna che siede con le punte dei piedi girate in fuori dimostra di possedere un carattere piuttosto istintivo e spontaneo.

Fig. 17

Molto attiva e dinamica, può anche arrivare a dimenticare le buone maniere pur di raggiungere il suo scopo. Nella vita sociale anche le sue antipatie o simpatie sono violente e senza mezzi termini (fig. 17). Punte in dentro È la posizione della “brava bambina” coscienziosa, che fa tutto per bene, curando i minimi dettagli.

Fig. 18

Per il suo atteggiamento timido e la sua pignoleria diventa sempre molto faticoso riuscire a convincerla a modificare il suo comportamento abitudinario (fig. 18). Piedi uniti Seduta in questa posizione rigida, con le mani contratte in grembo e le gambe serrate, dimostra di essere insicura, perfezionista e rigorosa.

Fig. 19

È incapace di esternare i propri sentimenti in pubblico e, con questo atteggiamento freddo e controllato, difficilmente viene avvicinata dagli altri (fig. 19). Caviglie incrociate Le caviglie tenute incrociate sembrano incatenare la persona e bloccarla in questa posizione negativa di sfiducia in se stessa. Probabilmente non approva, o ritiene eccessivo e volgare quanto sta avvenendo, ma non ha il coraggio di manifestare apertamente la sua disapprovazione (fig. 20).

Fig. 20

Gambe avvitate Per sedersi in questo modo piuttosto scomodo, la donna attorciglia un piede attorno al polpaccio dell’altra gamba, come per sottolineare una sua maggiore chiusura e riservatezza: forse sta pensando ad altro o è molto timida (fig. 21).

Fig. 21

Gamba ripiegata Un altro modo di sedersi tipico delle donne è quello di piegare una gamba sotto l’altra. Questo gesto, che ha la stessa valenza della posizione a gambe accavallate degli uomini, offre però il vantaggio di mascherare la chiusura con un’apparente disinvoltura. Così seduta la ragazza può scoprire un ginocchio e mettere in mostra il busto, ma le sue mani tenute ben nascoste dietro la schiena dimostrano il suo desiderio di mascherare la timidezza e rivelano una finta disponibilità (fig. 22).

Fig. 22

La seduzione In posizione seduta, l’uomo per indicare il suo interesse nei confronti di una donna divarica le gambe per mettere in mostra i genitali; la donna dichiara il suo desiderio di sedurre un uomo accavallando le gambe in una posizione ben riconoscibile. Una gamba sovrasta l’altra in modo che il polpaccio, premuto contro il ginocchio sottostante, conferisca alla gamba un aspetto più turgido; una mano finge di controllare l’orlo della gonna, l’altra sottolinea la rotondità del fianco. La stessa posizione permette al busto di restare eretto e spinto in fuori (fig. 23). Una variante di questo gesto di seduzione può essere eseguita dalla donna facendo dondolare e scivolare il piede dentro e fuori dalla scarpa. Il piede è infatti da sempre considerato dagli uomini una parte anatomica dotata di forte simbolismo erotico (fig. 24).

Fig. 23

Fig. 24

6 COME SI DORME

LE POSIZIONI DEL SONNO Nella posizione seduta il corpo si rilassa, almeno parzialmente; ma, per avere un rilassamento completo di tutta la muscolatura, bisogna sdraiarsi. E allora quando si dorme, e non è più possibile avere alcun controllo cosciente sul nostro corpo, l’inconscio influenza liberamente la posizione che noi assumiamo, rivelando alcuni tratti del nostro carattere. Voi come dormite di solito? Sul dorso o di fianco? Con la testa normalmente appoggiata sopra il cuscino o nascosta sotto di esso? Con le coperte rimboccate? COPERTE FINO AL NASO Con le coperte tirate su fino a coprire il naso (fig. 1 a pagina seguente), una persona timida e insicura si può sentire più protetta e può abbandonare il suo continuo stato di preoccupazione, non solo per se stessa, ma anche per il benessere degli altri. Anche chi si avvolge stretto nelle lenzuola vuole sentirsi protetto; può trattarsi di una persona poco espansiva e abbastanza infantile, che fa i capricci per ottenere quello che desidera.

Fig. 1

Se poi la persona sente il bisogno di rimboccare con cura le coperte prima di dormire, è probabilmente così timida che si tiene dentro sempre tutto e l’impressione che dà agli altri è di essere senza energia e vitalità. RANNICCHIATO DI FIANCO

Chi dorme rannicchiato di fianco (fig. 2) è una persona che vive rinchiusa in se stessa e rimpiange il tempo della sua infanzia felice, in cui non aveva problemi; introversa e talvolta molto inquieta, ha grande senso di responsabilità. Anche parlando di come ci si sdraia, può esserci d’aiuto ricordare il comportamento degli animali: se il nostro gatto dorme beato, magari a pancia in su, è tranquillo e si sente sicuro; se si nasconde, teme qualcosa.

Fig. 2

BRACCIA ALZATE Chi dorme sul dorso con le braccia alzate (fig. 3) è molto sicuro di sé e attivo; sa controllarsi e si conosce bene. Il non rimboccare le coperte è segno di indipendenza e dinamismo, propri di chi ha una forte personalità e ama comandare.

Fig. 3

PIEDI FUORI Anche chi dorme con i piedi fuori dal letto (fig. 4) dimostra di amare la libertà e di non sopportare le costrizioni, ma si tratta forse di una persona troppo impetuosa e disordinata, che maschera i suoi complessi con una grande carica di simpatia e vivacità.

Fig. 4

Un altro elemento importante da prendere in considerazione quando si dorme è il cuscino, con il quale si possono instaurare vere e proprie lotte, e che può addirittura

condizionare la possibilità stessa di riuscire a prendere sonno. ABBRACCIARE IL CUSCINO Chi dorme abbracciando il cuscino ha bisogno di affetto e di protezione; è una persona immatura e fragile in amore, anche se appare agli altri come un individuo libero e indipendente (fig. 5).

Fig. 5

SOTTO IL CUSCINO È invece un esagerato in tutto chi dorme con la testa sotto il cuscino: non conosce la via di mezzo, è tutto bello o tutto brutto, vi ama o vi odia. Fondamentalmente si tratta di una persona molto sensibile e rigorosa, che predilige la solitudine (fig. 6).

Fig. 6

SOPRA TANTI CUSCINI C’è poi chi può dormire solo con la testa ben sollevata da grossi e morbidi guanciali. È sicuramente una persona intelligente, vivace e attiva mentalmente, mentre fisicamente è piuttosto pigra, preferisce il riposo e dà molta importanza al benessere materiale e al lusso (fig. 7).

Fig. 7

SENZA CUSCINO Al contrario, dorme senza cuscino una persona idealista, sobria, essenziale e organizzata. Non ammette debolezze e non cerca di piacere: desidera essere accettata per quello che è.

7 I GESTI DELLE BRACCIA

I GESTI I gesti, i movimenti compiuti con la parte superiore del corpo, con le braccia e le mani, costituiscono la parte più rilevante della comunicazione tra gli esseri umani. Con i gesti fin dalla nascita siamo abituati a esprimere tutte le sfumature delle nostre emozioni; e con essi possiamo sottolineare o alleggerire il significato di quanto andiamo dicendo. Gesti-azione Esistono, naturalmente, dei gesti-azione, quelli cioè compiuti volontariamente per comunicare un’intenzione, un’emozione, come ad esempio indicare o salutare. Alcuni di questi gesti sono abbastanza universali; altri dipendono dalle culture, dalle razze, dall’ambiente sociale, per cui possono essere riconoscibili solo in un determinato paese e creare sconcerto se usati in un altro contesto. Gesti-atteggiamento Ci sono poi, e di questi ci occuperemo, gesti compiuti in modo abbastanza inconscio, che potremmo chiamare gesti-atteggiamento, e che rivelano parti profonde di noi e contenuti che spesso verbalmente non vengono espressi. Ad esempio, tutti porgono la mano per salutare, ma lo fanno con modalità diverse, ognuna delle quali sottende un preciso modo di intendere il rapporto che sta per instaurarsi. Freud ha detto: «Nessuna persona può mantenere un segreto: se le labbra restano mute, parlano le sue dita». Potere ed età riducono i gesti È significativo notare anche che più in alto si trova una persona nella scala sociale o del potere e più sono ridotti e misurati i suoi gesti. Questo può essere spiegato dal fatto che a un certo livello anche il vocabolario è più ricco, si hanno cioè a disposizione più parole per esprimere concetti ed emozioni, mentre, laddove il linguaggio è ristretto a poche

espressioni di base, l’uso dei gesti serve a colorire il discorso, facendo così diventare più espressivo e ricco il linguaggio del corpo (fig. 1). Inoltre più si invecchia più si tende a ridurre sia la gestualità del corpo che la mimica facciale. Possiamo allora dire che potere ed età condizionano e riducono i gesti.

Fig. 1

Il contesto In questo capitolo osserveremo più da vicino i gesti più comuni, cercando di scorgere in questi il significato espresso con la comunicazione non verbale. Voglio però ricordare ancora che questo mio modo di procedere, che tende a scomporre i singoli gesti e movimenti, è dovuto solo a un’esigenza metodologica. L’importante è non dimenticare mai di considerare che ogni singolo gesto o movimento non ha di per sé, in assoluto, un significato preciso e inequivocabile, ma deve invece venire interpretato e inserito nel contesto dell’intero comportamento di una persona. Si deve, cioè, fare attenzione se altri gesti rinforzano quello specifico atteggiamento o se, invece, notiamo un’evidente contraddizione tra due segnali emessi dal corpo. In questo caso a quale credere? Al sorriso e alle mani aperte che dichiarano disponibilità o alle caviglie serrate che rivelano il contrario? Scala delle priorità Si può in questo caso cercare di stabilire una scala delle priorità: in linea di massima dobbiamo ritenere più veri i gesti eseguiti dalle parti del corpo più lontane dalla nostra testa, ad esempio piedi e gambe. Questo perché tutti noi siamo abituati, oltre che a gestire il nostro linguaggio e quindi a pronunciare con cura le parole che riteniamo giusto dire, anche a controllare le espressioni del viso. Il nostro volto ci è familiare, lo controlliamo spesso allo specchio e sappiamo, se serve,

impostare un sorriso. Sappiamo anche, più o meno coscientemente, che le nostre mani possono parlare a nostra insaputa, magari tradirci e trasmettere emozioni che non vorremmo esprimere, quindi ci è abbastanza facile controllarle. Così spesso dimentichiamo che, oltre alle braccia e alle mani, disponiamo di tutto il resto del corpo che a nostra insaputa parla per noi o contro di noi. In cima alla scala delle priorità va comunque posta l’osservazione, prima ancora che dei gesti, di quei segnali inconsci emessi dal corpo che si rivelano attraverso la pelle e che possono tradursi in pallore, rossore, sudorazione improvvisa; in quanto assolutamente inconsci e imprevedibili, non possono essere camuffati o controllati coscientemente dalla persona. Non va poi scordato il contesto nel quale quella tale sequenza di gesti viene notata. Se una persona rabbrividisce, si stringe nelle spalle e serra le gambe, non necessariamente sta provando una terribile emozione e si chiude a riccio per non manifestarla; se si trova a parlare con noi alla fermata dell’autobus in una gelida giornata invernale, forse ha solamente molto freddo. Per riassumere, quindi, questa potrebbe essere la sequenza degli aspetti da prendere in esame: – – – – – – – –

contesto della situazione; segnali automatici della pelle; gestualità dei piedi e delle gambe; posizione di schiena, tronco e spalle; gesti delle braccia e delle mani; espressioni e mimica del viso; tono della voce; infine, quello che la persona dice.

Due livelli di comunicazione I nostri gesti comunicano a due livelli diversi: da un lato informano gli altri sulle nostre intenzioni e sui sentimenti che noi proviamo nei loro confronti, dall’altro influenzano e condizionano il loro comportamento. Questo per quel fenomeno che a ogni azione corrisponde una reazione: se l’azione è automatica, altrettanto lo sarà la reazione. Feedback È il feedback (“ritorno”, “risposta”): un’azione o un gesto positivo influenzano positivamente chi ci sta di fronte, che reagirà favorevolmente. Lo stesso avviene nel caso contrario. Per questo è molto importante sapere come ci si muove, come ci si pone di fronte agli altri, che gesti si compiono; ma soprattutto bisogna imparare a compierli con una modalità positiva, per avere un feedback positivo da parte degli altri. Suscitare un iniziale rifiuto o una barriera crea poi una situazione difficile da recuperare.

Soprattutto i gesti delle braccia possono creare inconsciamente una barriera e indicare chiusura e rifiuto, oppure possono dimostrare apertura e disponibilità. Provate questo semplice gioco, per verificare quanto andiamo dicendo, alla prima occasione mondana in cui vi sia possibile avvicinarvi a un gruppo di persone sconosciute che stanno tranquillamente parlando in atteggiamento rilassato, gambe sciolte, braccia e mani che gesticolano. Unitevi al gruppo incrociando le gambe e soprattutto incrociate le braccia. Osservate ora – è quasi sorprendente, ma succede – che le persone, per il fenomeno del feedback, di fronte alla vostra chiusura, una alla volta inizieranno ad assumere delle posizioni chiuse incrociando le braccia. Tutto questo può avvenire a loro insaputa, perché apparentemente la conversazione tra di loro sta continuando. Voi allora allontanatevi dal gruppo, mettetevi in disparte e osservate che cosa succede: noterete che lentamente le persone riaprono le braccia e sciolgono la posizione di difesa che avevano assunto, continuando allegramente la loro conversazione. Solamente i loro corpi si erano accorti, a livello inconscio, dell’intrusione minacciosa, o almeno negativa, che era avvenuta da parte di un altro corpo e per reazione si erano atteggiati in posizione di chiusura. BRACCIA INCROCIATE Incrociare le braccia è il gesto più evidente di barriera e di chiusura. La sua origine, come abbiamo già visto, risale all’infanzia. Crescendo il nostro desiderio di difenderci si restringe al movimento delle braccia, che può essere dissimulato e reso meno riconoscibile se incrociamo solo un braccio davanti al corpo o se teniamo in mano, davanti a noi, un oggetto. Braccia che chiudono Il gesto comune di incrociare le braccia, detto anche braccia conserte, viene eseguito spesso quando si è da soli tra estranei, nel caso in cui ci si vuole chiudere o difendere, quando non si è d’accordo e si prendono le distanze da chi ci sta parlando (fig. 2).

Fig. 2

Quando notiamo che il nostro interlocutore improvvisamente incrocia le braccia e si

chiude, è probabile che qualcosa non vada e, finché resterà in questa posizione, sarà impossibile che ci ascolti o che accetti senza riserve quanto stiamo dicendo. Se ci è possibile, proviamo allora a dire: «Vedo che vorresti dire qualcosa e che forse non sei pienamente d’accordo», oppure: «Vedo che qualcosa di quello che ho detto ti ha disturbato, ne vuoi parlare?». Questo può sbloccare la situazione. Un altro sistema per farlo è quello di indurre la persona a sciogliere la sua posizione chiusa, semplicemente porgendole un foglio da consultare o un altro oggetto che la obblighi, per poterlo afferrare, ad aprire le braccia. A questo proposito, dei ricercatori statunitensi hanno condotto un esperimento per stabilire se vi fosse un nesso tra il grado di apprendimento e determinate posture mantenute dal corpo durante le lezioni. Hanno quindi suddiviso un certo numero di studenti in due gruppi. A entrambi è stato chiesto di frequentare le stesse lezioni, ma al primo gruppo si è raccomandato di tenere costantemente una posizione del corpo aperta, con la schiena diritta e senza incrociare gambe e braccia. Il secondo gruppo, al contrario, doveva assumere l’atteggiamento opposto di chiusura, con gambe e braccia incrociate. Interrogati alla fine del ciclo di lezioni, si è rilevato che il primo gruppo aveva superato di gran lunga l’altro quanto ad apprendimento e a votazioni ottenute, e aveva inoltre espresso giudizi meno critici nei confronti delle lezioni.

Fig. 3

Braccia che afferrano Il gesto di incrociare le braccia può avere delle varianti. La più significativa è quella di afferrare con forza le braccia (fig. 3). Questo gesto indica chiaramente la forte tensione avvertita dalla persona che forse prova frustrazione e rabbia, ma ha deciso di non parlarne. BRACCIA APERTE Mantenere le braccia in posizione aperta, mentre si sta ascoltando, dimostra che siamo

rilassati, che non ci difendiamo e siamo disponibili a recepire quanto ci viene detto. Mantenere questo gesto mentre si sta parlando, con le palme bene in vista, segnala la nostra onestà: scopriamo il petto perché non abbiamo niente da nascondere (fig. 4).

Fig. 4

Quando parlano in pubblico, oratori e politici dovrebbero ricordarsi di tenere le braccia in questo modo se vogliono dare agli altri l’impressione di essere sinceri e credibili. Molto spesso questo non succede: basta osservare le foto di personaggi famosi ripresi mentre tengono un discorso, o guardare la televisione, per rendersi conto che invece molte persone, mentre pronunciano parole tipo “libertà”, effettuano dei gesti di significato contrario. Braccia che coprono Un gesto assolutamente da evitare e al quale prestare molta attenzione è quello compiuto aprendo le braccia, ma girando le palme delle mani verso l’interno (fig. 5). In questo modo si vuole sembrare aperti e sinceri, ma in realtà si sta coprendo qualcosa, anche il nostro corpo.

Fig. 5

Spesso, una persona che parla così tiene anche la giacca “abbottonata”. Con questo atteggiamento è come se non volesse esporsi più di tanto e non ritenesse necessario farlo. Braccia che tagliano

Le braccia possono anche muoversi nello spazio fendendo l’aria dall’alto in basso, con le mani tenute in posizione verticale (fig. 6).

Fig. 6

L’effetto è quello di due lame che tagliano e, nello stesso tempo, le mani in quella posizione sembrano contenere e delimitare, ponendo dei confini molto precisi dai quali chi parla non è disposto a uscire. E, magari, proprio in quel momento sta professando le sue idee di totale apertura e disponibilità. Braccia che schiacciano Spesso un oratore quando parla, nel tentativo di dare più enfasi e più vigore a quanto sta dicendo, mentre alza il tono della voce, batte le mani, a volte anche pesantemente, sul tavolo che ha davanti a sé (fig. 7). Questo movimento delle braccia che scendono dall’alto, con le palme rivolte in basso, rivela invece un malcelato tentativo di sottomettere chi ascolta o un desiderio di prevaricare.

Fig. 7

In ogni caso, chi parla cerca di tenere sotto controllo la situazione o le persone. BARRIERE PARZIALI Tutti quei gesti delle braccia che in qualche modo tendono a proteggerci, ma che per

convenzione sociale o per dimostrare una finta disinvoltura sono mascherati, vengono ritenuti barriere parziali.

Fig. 8

Allora solo un braccio può attraversare e proteggere il corpo (fig. 8). Braccio che controlla Oppure si può evitare di incrociare le braccia e creare ugualmente una barriera simbolica: il pretesto ci viene fornito, ad esempio, dal bisogno di sistemare il polsino della camicia o controllare la chiusura dell’orologio (fig. 9).

Fig. 9

Questo gesto lo possiamo notare di frequente nelle occasioni mondane quando una persona, entrando in un ambiente affollato, si sente leggermente a disagio e in qualche modo cerca di mascherare il proprio nervosismo con un gesto rassicurante. Braccio che sorregge

Fig. 10

Le signore sono più facilitate in questo perché con eleganza possono incrociare i polsi tenendo in mano una piccola borsa, oppure possono tenere sollevato un braccio dinanzi a loro per reggere un soprabito o uno scialle (fig. 10). Ma con due mani si può sostenere anche un bicchiere. Il bicchiere è un oggetto leggero che può essere sorretto da due sole dita: chi lo pone dinanzi a sé lo usa come piccolo scudo protettivo che permette di acquistare la disinvoltura necessaria per muoversi in una festa tra sconosciuti. Si crea una barriera anche reggendo davanti a sé una cartella o un fascicolo. Gli uomini tendono a porre questo oggetto in basso a coprire i genitali. Osserviamo la posizione della persona della fig. 19, a pag. 89. In piedi, con le gambe rigide, è chiaramente nervoso e insicuro; forse si trova in una situazione nella quale è costretto ad avere un contatto con il pubblico che lo mette a disagio e allora, giacca abbottonata e sorriso di circostanza, si prepara a ricevere i possibili clienti, riparandosi dietro alla cartella.

Fig. 11

Se non si ha niente in mano, si può cercare un po’ di conforto e di rassicurazione afferrandosi da soli le mani (fig. 11). Se da bambini vivevamo una situazione nella quale venivamo messi in mostra, intimoriti salivamo sul palco tenendo per mano la mamma. Ora siamo cresciuti e la mano non possiamo che stringercela da soli per rassicurarci. Barriere mascherate Tutti gli abiti portati abbottonati sono quindi barriere mascherate che tendono, magari a nostra insaputa, a tenere lontani gli altri: una persona aperta apre anche la giacca, scopre il petto; una persona “abbottonata” si rinchiude anche nei suoi vestiti. E poi ancora gli occhiali da sole, o gli occhiali da vista scuri, portati fuori dal contesto normale di una giornata assolata all’aperto. Estremamente insospettabile come barriera è il trucco troppo accentuato sul viso di una donna, che crea come una maschera. La maschera nasconde, protegge, così come la barba nasconde parzialmente il viso di un uomo e le sue insicurezze.

Fig. 12 La persona rappresentata nella figura 12 può essere considerata un piccolo riassunto di tutto ciò che è possibile mettere in atto per nascondersi o difendersi. Braccia incrociate a barriera e mani nascoste; giacca abbottonata, sciarpa che copre il collo e impermeabile-scudo appoggiato al braccio che nasconde parte del corpo. Altra protezione è costituita dalle riviste che tiene ben strette sul petto; notiamo infine il viso coperto dalla folta barba e dagli occhiali scuri. O si tratta di un personaggio famoso che non vuole farsi riconoscere, o forse è molto insicuro o ha parecchio da nascondere, e la cosa può suscitare una giusta diffidenza in chi lo incontra. Voi trattereste un affare con una persona che si presenta in questo modo? BRACCIA DIETRO LA SCHIENA Perché in certi momenti ci si afferra le mani tenendo le braccia dietro la schiena? Provate a passeggiare su e giù per la stanza con le braccia in questa posizione. Avete notato che il vostro passo tende a diventare più lungo e cadenzato e che, se vi fermate, tendete a dondolare leggermente sulle gambe tenute un po’ aperte? Forse vi siete ricordati di un vostro vecchio professore di scuola quando con passo sicuro girava tra i banchi a controllare i vostri quaderni. Chi si afferra le mani dietro la schiena si sente rilassato e sicuro di sé ed è cosciente della sua autorità. Poiché le braccia e le mani inducono all’attività, tenerle a riposo indica anche una disposizione mentale di riposo, il desiderio di non fare nulla in quel momento, ma di stare solo a guardare o a riflettere (fig. 13). Cambia lo stato d’animo se una mano afferra saldamente il polso dell’altra, magari chiusa a pugno. Questo è un chiaro gesto di frustrazione: si cerca di controllarsi, come se a livello inconscio si cercasse di trattenersi dallo sferrare un pugno. Più la mano afferra in alto il braccio dietro la schiena, più la persona è arrabbiata. Se è la parte superiore del braccio a essere trattenuta, la rabbia e il nervosismo sono tali che si teme di non riuscire a dominarli (fig. 14). Allentare la posizione tornando ad afferrare l’altra mano potrebbe rasserenarci e farci sentire più tranquilli.

Fig. 13

Fig. 14

I GOMITI Gomiti in fuori Con le braccia in fuori e le mani appoggiate sui fianchi, i gomiti sporgono lateralmente, conferendo alla figura una dimensione maggiore. Un piccolo animale rizzando il pelo cerca di apparire all’avversario più grosso e quindi più temibile.

Fig. 15

Un bambino che vuole dimostrare il suo disappunto e imporsi, cercando di farsi ascoltare dagli altri, si piazza a gambe larghe e gomiti in fuori (fig. 15). Gomiti in alto Da grandi possiamo assumere la stessa posizione aggressiva di sfida, pronti a estrarre le pistole dalle fondine, come in uno scontro tra cow-boy, o possiamo addolcirla tenendo le gambe in posizione normale, ma i gomiti sparati in fuori sono sempre due armi pronte ad attaccare l’avversario e a difenderci lateralmente (fig. 16).

Fig. 16

Anche le braccia tenute incrociate in alto dietro la testa la incorniciano aumentandone l’impatto visivo e ribadiscono con arroganza agli altri: “io sono più bravo; superiore a te; io ho capito tutto” (fig. 17). Questo gesto è piuttosto indisponente e chi lo compie suscita di solito reazioni negative nei presenti. Se una persona con la quale parlate a un certo punto solleva le braccia, come per dirvi “povero piccolo, io ho già capito tutto”, provate a imitarlo.

Fig. 17

La vostra risposta nel linguaggio del corpo dirà: “siamo pari, anch’io ho capito tutto”. Poi state a vedere la reazione dell’altro; è probabile che si senta infastidito e si alzi di scatto per superarvi in altezza oppure che ponga fine al colloquio con un pretesto qualsiasi. Se invece volete fargli abbassare i gomiti e fare in modo che il colloquio continui, avvicinatevi a lui con un gesto di apertura e sottomissione: a braccia aperte e palme delle mani in vista.

8 LA MANO E I SUOI GESTI

LE MANI Le mani e il cervello Le mani sono strettamente collegate al cervello: Aristotele diceva che ne sono una diramazione. Con le mani realizziamo ciò che immaginiamo con la mente. Per questo cervello e mani sono considerati complementari. Se teniamo sotto controllo una situazione affermiamo di “averla in mano”; se poi facciamo delle concessioni diciamo che siamo stati “larghi di mano” perché, invece di “restare con le mani in mano”, abbiamo “posto mano” al problema, lo abbiamo “toccato con mano” per arrivare a una soluzione. I bambini che fin dalla tenera età usano molto le dita, ad esempio studiando strumenti musicali che richiedono grande agilità delle dita quali il pianoforte o il violino, hanno un più rapido sviluppo del cervello e un potenziamento del sistema nervoso. Una ridotta funzionalità cerebrale tende, invece, a ridurre le abilità manuali; per questo sarebbe utile che tutte le persone anziane si dilettassero con attività manuali, proprio per combattere l’invecchiamento e conservare la lucidità mentale. Avete presente l’immagine, a noi così conosciuta e ormai così lontana, della nonnina che lavora a maglia cullandosi su una sedia a dondolo?

Fig. 1

Alcuni studi recentissimi hanno scoperto che il dondolo non solo calma, ma si è rivelato

un ottimo sostituto di molti farmaci contro il dolore, perché le oscillazioni prolungate stimolano il cervello a produrre endorfine, soppressori naturali del dolore (fig. 1). Il linguaggio del tatto Con le mani noi salutiamo, tocchiamo, accarezziamo, soppesiamo, esprimiamo i nostri sentimenti e le più piccole emozioni. Esse sono i nostri piccoli radar proiettati verso l’ambiente esterno. Quando vediamo un oggetto, ne percepiamo le dimensioni e il colore, ma solo toccandolo abbiamo un’idea precisa delle sue reali caratteristiche fisiche, del suo peso, del suo calore, della sua morbidezza. La comunicazione attraverso il tatto costituisce infatti la forma più primitiva e fondamentale di comunicazione. È quella che intercorre tra il neonato e la madre che lo culla tra le sue braccia e lo accarezza dolcemente. Imparare a toccare, a riconoscere gli oggetti con le mani, è una tappa basilare nel processo di crescita di un bambino. Se la sensazione tattile è piacevole la prolunghiamo, se è fastidiosa o dolorosa ritraiamo la mano, così come da adulti ci ritraiamo da una persona o da una situazione. Toccare gli altri Ci sono persone che hanno la brutta abitudine di toccare sempre gli altri, di mettere loro le mani addosso, di accarezzarli: questo indica che hanno un forte desiderio di entrare in relazione e di essere accettati. Spesso però le loro richieste affettive cadono nel vuoto, con silenzi o disagio da parte degli altri: questo tipo di gesti va fatto solo se si è sicuri di poterlo fare e se ci si trova nel contesto giusto, perché possono facilmente venire scambiati per tentativi di aggressione. A volte comunque una carezza o un tocco della mano riescono a esprimere, molto più di tante parole, l’affetto e l’empatia che proviamo per una persona. Toccare se stessi Tutti i gesti con i quali accarezziamo noi stessi indicano un bisogno di tenerezza e rassicurazione, quasi volessimo, per pochi istanti, ritornare a una situazione di regressione infantile, in braccio alla mamma che ci accarezzava e cullava. Toccare gli oggetti Accarezzare e toccare ripetutamente degli oggetti è un segnale molto chiaro che indica, nel linguaggio del corpo, che si ha bisogno di essere compresi, di essere capiti e accettati, che si è soli e si desidera compagnia.

E se ci tocchiamo e giochiamo con la collana che portiamo al collo? Questo significa, a livello simbolico, che ci stiamo gratificando per qualche cosa di piacevole che riteniamo di avere fatto, oppure che siamo coinvolti emotivamente con la persona che ci sta di fronte o alla quale stiamo pensando. Chi invece sente il bisogno di toccare i gioielli indossati da un’amica o addirittura chiede di provarli è probabile che in cuor suo pensi, con un po’ di invidia, che forse sarebbero stati meglio indossati da lei (fig. 2 a pagina seguente).

Fig. 2

In generale, toccare gli oggetti, la cravatta o anche gli abiti di un’altra persona dimostra che di lei si sta invidiando lo stato sociale, la ricchezza o il lavoro, ma soprattutto che si ritiene che si sarebbe più adatti a svolgere il suo lavoro o a ricoprire il suo ruolo. LA DIAGNOSI DELLA MANO Un medico orientale vi prende la mano tra le sue, la osserva, la stringe, la rigira e alla fine può dirvi in quale condizione è il vostro organismo, che cosa mangiate, se siete più intellettuali, spirituali o materiali, quali sono i vostri gusti e il vostro stato psichico. Anche una brava chiromante, prima ancora di iniziare a leggere le linee della mano, può avere questa abilità, facilmente scambiata per capacità paranormale. Osserviamo un po’ più da vicino la mano, come abbiamo fatto nel capitolo 3 per quanto riguardava i piedi, perché anche per noi può essere facile entrare in contatto con il suo colore, la sua umidità, la sua forza e le sue dimensioni. Ci basta una stretta di mano. I meridiani I meridiani che percorrono il braccio e le mani, fino ad arrivare alla punta delle dita, sono sei. L’energia fluisce lungo le braccia e le mani ed esce dalle dita, che vengono quindi considerate dalla medicina cinese i punti di emissione dell’energia del corpo. Stendete una mano aperta con il palmo rivolto verso l’alto (fig. 3). POLMONE - All’interno del braccio scorre il meridiano del polmone, che arriva al pollice (fig. 3, punto a).

Fig. 3

I disturbi che compaiono su questo dito possono indicare l’esistenza di un problema di natura polmonare. Se il muscolo del pollice (fig. 3, punto m) assume una colorazione blu, la persona è forse molto depressa o soffre per un grave lutto; può inoltre fare uso, o averlo fatto in un passato recente, di sostanze stupefacenti o di grandi quantità di medicinali. Se invece questo muscolo si presenta di colore rosso, la persona è forse ansiosa, stressata; sta comunque vivendo un periodo di forte tensione e frustrazione, per superare il quale magari abusa di superalcolici. MASTRO DEL CUORE - Nella parte interna del braccio scorre il meridiano del Mastro del cuore, che controlla la circolazione e il flusso di energia sessuale e che arriva alla punta del dito medio (fig. 3, punto b). Per favorire la circolazione del sangue e rinforzare gli organi sessuali eseguite questo semplice esercizio: afferrate il dito medio prima di una mano, poi dell’altra, ruotatelo per alcuni minuti in senso orario e poi in senso antiorario, quindi tiratelo delicatamente alcune volte. CUORE - Nella parte interna del braccio scorre il meridiano del cuore, che arriva fino al lato interno del mignolo, vicino all’unghia (fig. 3, punto c). Se la punta di questo dito è rossa, forse il cuore è troppo stimolato da un eccesso di caffè e di cibi piccanti; una certa rigidità del mignolo può indicare inoltre disturbi cardiaci in atto. Ora girate il braccio in modo da avere il dorso della mano rivolto verso l’alto (fig. 4).

Fig. 4

INTESTINO CRASSO - Il meridiano dell’intestino crasso dal lato del naso scende lungo la parte interna del braccio e, passando sopra il muscolo sporgente situato tra pollice e indice, arriva al lato esterno dell’unghia del dito indice (fig. 4, punto d). Lungo questo meridiano vi è un punto, indicato con la lettera M, che è considerato quasi miracoloso per favorire la peristalsi intestinale. Bisogna massaggiare questo punto, sempre in entrambe le mani, affondandovi la punta del pollice e ruotandola con forza, quando avete necessità di stimolare l’intestino, o anche semplicemente quando state male o vi sentite deboli. TRIPLICE RISCALDATORE - Lungo la parte superiore del braccio scorre il meridiano del triplice riscaldatore, che dalla tempia arriva fino al dito anulare (fig. 4, punto e). Esso mette in comunicazione i tre sistemi di riscaldamento del corpo, che servono a mantenere costante la temperatura corporea; è inoltre associato al cuore e all’unione di corpo, mente e spirito. Se c’è uno squilibrio in questo meridiano, i tre centri di energia mancano di coordinamento e allora, magari, una persona può dondolare la testa mentre parla. INTESTINO TENUE - Al mignolo arriva il meridiano dell’intestino tenue, che percorrendo il dorso del braccio, da un punto vicino all’orecchio, arriva al lato esterno dell’unghia di questo dito (fig. 4, punto f). Se il muscolo sul lato esterno della mano si presenta rosso, l’intestino della persona può essere ostacolato nell’assimilazione delle sostanze nutritive: ci sarà quindi, a livello simbolico, difficoltà nel trarre l’adeguato nutrimento nel corso della vita. La forma A seconda delle caratteristiche più comuni di una mano e cioè: la grandezza del palmo, le dimensioni e la lunghezza delle dita e la forma delle unghie, possiamo individuare a grandi linee cinque diverse forme di mano, ognuna delle quali può rispecchiare un diverso modo di affrontare la vita. MANO

SEMPLICE

- Questo tipo di mano, molto comune e propria di una persona dal

carattere piuttosto semplice, si presenta abbastanza tozza e materiale (fig. 5).

Fig. 5

Il palmo è largo e ruvido al contatto, mentre il polso troppo sottile crea una sproporzione. Anche le dita sono grosse in tutta la lunghezza e tozze e le unghie di solito sono poco curate. Questa mano appartiene a un individuo dalla personalità molto semplice e onesta, che vive con monotonia e rassegnazione, che si occupa del proprio lavoro e della propria famiglia, accontentandosi della vita, spesso non facile, che conduce. MANO ARTISTICA - Assomiglia alla mano precedente, con il polso sottile e il palmo sviluppato, ma le unghie sono lunghe e le dita più esili e a punta. Il pollice più lungo conferisce forza di volontà a questa mano che è tipica di artisti, poeti e inventori, equilibrando in loro impulsività e indolenza (fig. 6).

Fig. 6

MANO PRATICA - In questa mano si nota la sproporzione tra le dita lunghe e la punta che termina a spatola, cioè con l’ultima falange appiattita e larga (fig. 7). Chi ha questo tipo di mano tende a portare le unghie cortissime, perché è una persona molto pratica, organizzata e decisa, che concede poco tempo ai sentimenti e alla fantasia.

Fig. 7

È la mano di chi ama i numeri e i calcoli, come contabili, studiosi di scienze esatte o, al contrario, tecnici e meccanici. Se in questa mano il mignolo si presenta nodoso e appuntito, questa persona può essere un uomo d’affari. MANO INTELLETTUALE - La mano dell’intellettuale si riconosce dal palmo piuttosto largo, con dita lunghe, ossute e nodose, e unghie grandi e quadrate; chi la possiede è una persona che sa pensare e riflettere bene prima di prendere decisioni (fig. 8). La caratteristica più evidente di questa mano è la presenza di nodi e, in base alla posizione di questi, si può stabilire la propensione e le qualità di un individuo. Se ad esempio sono più sviluppati i nodi tra la prima e la seconda falange, egli ha grandi qualità spirituali e filosofiche; se invece sono più sviluppati quelli tra la seconda e la terza falange, sarà più portato per le attività pratiche, scientifiche, organizzative.

Fig. 8

Se, infine, sono maggiormente visibili i nodi situati alla base delle dita, tipici di una mano femminile, la persona amerà molto occuparsi dei lavori domestici, curare le proprie cose e i propri interessi. Per la tradizione orientale, se in questa mano, tenuta in alto a dita serrate, si notano delle fessure tra le dita da cui filtra la luce, la persona presenta degli squilibri nella costituzione generale e questo è considerato un segno infausto che indica che non è capace di trattenere ciò che riceve. Di un tipo così noi diremmo che ha le “mani bucate”. MANO SPIRITUALE - Questa mano, dalla forma armonica, ha il palmo ovale, le dita lunghe e affusolate e le unghie lunghe (fig. 9). Possono essere le mani di una persona molto spirituale o di chi studia a fondo l’animo umano, ma possono anche appartenere a

persone troppo sentimentali e poco realistiche, che si interessano solo in maniera superficiale di argomenti spirituali.

Fig. 9

MANO CON CARATTERISTICHE MISTE - Infine, chi ha mani con caratteristiche miste ha molteplici interessi e magari si occupa di diverse attività, senza però essere un esperto in alcuna di esse. Il palmo riflette la predisposizione per l’attività fisica, mentre le dita esprimono la qualità del nostro modo di pensare. Se le dita sono sottili e delicate, anche i nostri pensieri lo saranno. La mano di una persona equilibrata ha il palmo lungo quanto le dita. Se la lunghezza delle dita prevale su quella del palmo, la persona è più mentale che pratica. Sarà inoltre sufficiente ricordare che le dita lisce indicano emotività e intuizione, ma anche superficialità e leggerezza; le dita a spatola richiamano la concentrazione, l’intelligenza e a volte anche l’aggressività; mentre quelle nodose sono un segno di autocontrollo e disciplina. Il colore Un altro aspetto da osservare in una mano è il colore della pelle. BIANCO - Una pelle bianchissima, quasi diafana, dalla quale traspaiono vene azzurre, è indice di grande freddezza, severità e anche egoismo. ROSA - La pelle rosea, con le vene che si vedono appena, indica invece una persona buona, calma e riflessiva. ROSSO - Al contrario, chi presenta mani dalla pelle rossa, sanguigna, avrà un carattere passionale, inquieto e collerico. Se poi le vene sono molto evidenti e scure, tenderà a prendere decisioni in modo superficiale e avventato. PALLIDO - Mani pallide, fragili e umide al tatto, rivelano una salute fragile e una

personalità indecisa e tormentata. La flessibilità La flessibilità delle articolazioni delle mani e delle dita indica il grado di flessibilità mentale e fisica. Provate a congiungere le mani e, con le dita saldamente unite, cercate di piegarle di 90 gradi, come nella figura 10. Se siete in grado di eseguire questo esercizio, avete una buona flessibilità di mani, corpo e mente. Quanto più grande è la flessibilità, tanto maggiore è la capacità di adattarsi alle condizioni fisiche e mentali dell’ambiente. Siete, allora, una persona creativa e aperta a opinioni diverse, che riesce a superare gli ostacoli della vita senza troppe difficoltà. Se, invece, questo esercizio vi è risultato impossibile, vi trovate in una condizione di inflessibilità, che indica non solo un possibile indurimento di arterie, nervi e muscoli, ma anche una personalità rigida, concettuale e forse testarda. Se le mani sono rigide e robuste, tanto che, tenute aperte e tese, le dita restano curvate in avanti, non riuscendo a distendersi completamente (fig. 11), la persona affronta gli ostacoli direttamente e lotta per affermare i propri principi e tende ad essere competitiva ogni volta che lo ritiene necessario, cioè quasi sempre.

Fig. 10

Fig. 11

Le unghie Sempre secondo la medicina orientale, le unghie dure e spesse indicano forza e vitalità fisica e mentale; mentre quelle più sottili di solito appartengono a un corpo più flessibile, ma debole, con una mente molto vivace. COLORE - Il colore delle unghie, come il colore delle labbra, indica la qualità del sangue e può presentarsi di diverse sfumature a seconda dei cambiamenti delle condizioni fisiche o del tipo di attività che si svolge. Questo è il motivo per cui quando una donna viene ricoverata in ospedale per un intervento chirurgico deve togliersi lo smalto dalle unghie.

Unghie di colore rosa indicano una sana costituzione del sangue e quindi condizioni fisiche e mentali equilibrate. Le unghie bianche sono invece segno di anemia e di malattie: chi è in buona salute non ha unghie di colore bianco. Se le unghie si presentano di colore più scuro, rosa-viola, ci sono dei problemi che si manifestano con insonnia, depressione e disordini mentali. Il colore rosso scuro indica che nel sangue è presente una quantità elevata di colesterolo e che cuore, circolazione e reni sono sovraffaticati. Una persona con queste unghie si presenta rigida e inflessibile mentalmente. SEGNI PARTICOLARI - Chi presenta righe verticali sulle unghie mangia in maniera disordinata, ha disturbi di fegato ed è continuamente stanco (fig. 12, punto a).

Fig. 12

Le unghie concave, a cucchiaio, sono un segno di anemia (fig. 12, punto b), mentre quelle arrotondate che si ripiegano in dentro indicano disturbi dei polmoni e della respirazione (fig. 12, punto c). Le piccole macchie bianche compaiono sulle unghie quando si è mangiato troppo zucchero, mentre un avvallamento orizzontale (fig. 12, punto d), segnala che la persona ha forse digiunato o cambiato bruscamente il suo sistema di vita. Poiché un’unghia si riforma completamente nell’arco di sei mesi, è possibile calcolare all’incirca quanti mesi prima è avvenuto questo episodio. Chi ha le unghie che si sfaldano ha una grave carenza di sali minerali e soffre di digestione difficoltosa, stanchezza, nervosismo e insonnia. I GESTI DELLE MANI Aperte o coperte Come abbiamo visto parlando delle braccia, la mano aperta, in vista, è un segno di onestà, di disponibilità e anche di sottomissione. Chi chiede un favore o l’elemosina allunga la mano aperta, nell’atto di ricevere con umiltà; ma con la mano aperta si può anche offrire. Le popolazioni antiche e quelle nomadi quando si incontravano esponevano le palme delle mani per mostrare che non nascondevano armi e che dunque si avvicinavano in pace.

Fig. 13

Se un vostro amico si scusa con voi perché all’ultimo momento non può venire per un suo impegno improvviso, se lo comunica con le palme aperte e in vista è probabile che quanto afferma sia vero. Se mentre lo fa incrocia le braccia o nasconde le mani nelle tasche (fig. 13), avrete fondati motivi per dubitare di lui e pensare che forse sta inventando delle scuse. Il bambino che dice una bugia o vuole nascondere qualcosa vi parla tenendo le mani nascoste dietro la schiena. Anche chi nasconde le mani sotto il tavolo o le tiene saldamente avvinghiate ai braccioli rivela la stessa tendenza a voler nascondere qualcosa. Mani a cuneo Questo gesto, che si effettua congiungendo i polpastrelli delle dita, come per formare il tetto di una casetta, ha un preciso significato anche estrapolato dal contesto e dalle altre eventuali posture del corpo (fig. 14).

Fig. 14

Chi lo compie rivela di essere una persona molto sicura di sé e desiderosa di manifestare agli altri la sua superiorità e, se sta parlando, tende a effettuare questo gesto con le dita rivolte in alto. Anche l’ascoltatore, che ritiene di avere più conoscenze ed essere più qualificato di chi sta parlando, può ricorrere a questo gesto, eseguito però con le mani rivolte verso il basso. Questa postura ricorda un poco il “pollice verso” degli antichi romani (fig. 15). Se la punta del cuneo viene girata in avanti, quasi a imitare la prua di una nave rompighiaccio, questo gesto di superiorità assume anche un significato più aggressivo, in

quanto la persona sta inconsciamente tentando di respingere o minacciare chi le sta di fronte (fig. 16). Quando si sta riflettendo con le mani a cuneo e i polpastrelli che tamburellano leggermente, forse si sta cercando una soluzione, un modo per arrivare a un punto di contatto che possa mediare interessi diversi.

Fig. 15

Fig. 16

Mani a freccia Questo modo di intrecciare le mani, che espone solo gli indici, come a formare una punta, è una variante più nascosta e meno evidente del gesto precedente (fig. 17).

Fig. 17

Rivela sempre sicurezza e una certa presunzione, ma la persona che lo compie in quel momento sta vivendo con fastidio il non potersi esprimere liberamente e dire chiaramente come la pensa. Mani a pistola Se gli indici vengono tenuti accostati e puntati in fuori, mentre le altre dita sono intrecciate e i pollici sollevati, la posizione delle mani imita una pistola puntata.

Fig. 18

Inconsciamente è proprio quella l’immagine che si vuole esprimere (fig. 18). Il pugno Se una posizione delle braccia termina con una mano stretta a pugno, si capisce che c’è nella persona grande rabbia o ostilità; forse si sente profondamente offesa ed è pronta a uno scontro verbale (fig. 19).

Fig. 19

Se si trova da sola, è probabile che stia ripensando a una grossa frustrazione subita e stia ancora rivivendo l’emozione e la rabbia collegate a quell’episodio. Ricordiamoci comunque che, quando in presenza di altri stringiamo i pugni, mandiamo a livello non verbale un segnale aggressivo che provoca nel prossimo una reazione inconscia dello stesso tipo. Mani intrecciate

Le mani strette con le dita intrecciate sono sempre un segno di chiusura e hanno valenza diversa più si allontanano dalla testa e scendono verso il basso. La frustrazione e il malumore diminuiscono se le mani, invece di essere intrecciate davanti al viso, si appoggiano sul tavolo o sulla pancia. Una persona seduta a tavola di fronte a noi, che magari ci sorride, con i gomiti appoggiati e le mani intrecciate davanti al mento, nasconde un forte nervosismo e una forte tensione: è come se le sue mani stessero trattenendo le emozioni negative (fig. 20).

Fig. 20

C’è invece quasi un senso di impotenza e di mesta rassegnazione nella frustrazione espressa nella figura 21. Se poi le mani restano intrecciate ma le dita si drizzano in fuori come a creare un effetto di filo spinato, la persona cerca, anche visivamente, di difendersi (fig. 22).

Fig. 21

Fig. 22

Mani composte

Fig. 23

Provate a ricordare la volta in cui avevate un grosso problema burocratico da risolvere e alla fine siete riusciti a farvi ricevere da un personaggio importante, che forse avrebbe potuto darvi una mano a venirne a capo. Voi parlavate e spiegavate la gravità del vostro caso, sapendo che probabilmente a lui sarebbe bastata una telefonata per risolvere il problema, ma il vostro interlocutore si limitava ad ascoltarvi con cortesia, tenendo ferme le mani leggermente sovrapposte (fig. 23). Alla fine, sempre cortesemente e senza la minima partecipazione emotiva, vi diceva «capisco, vedrò che cosa posso fare per lei». Le sue mani per tutto il tempo del vostro monologo continuavano a ripetere “non muoverò un dito per lei, buon uomo, ma la sto ascoltando, fingendo di mostrarmi disponibile”. Sfregarsi le mani Questo gesto, piuttosto conosciuto e di evidente comprensione, compiuto tenendo le mani accostate e sfregandole velocemente, indica soddisfazione e gioia: in questo modo si dichiara all’altro che stiamo entrambi per fare un affare. Il gesto, però, deve essere compiuto molto velocemente e con le mani tenute in alto. Lavarsi le mani Se il movimento rallenta, fino a sembrare che ci si lavi figuratamente le mani, perché siamo indecisi sul da farsi, assume subito una connotazione più negativa e sospetta e può significare “ti sto raggirando e sto per concludere un affare a tuo danno”. Spolverarsi Mentre qualcuno ci sta parlando e magari ci chiede di esprimere la nostra opinione o di dare il nostro assenso, ci può capitare che, prima di rispondere, noi abbassiamo lo sguardo e sentiamo un irrefrenabile bisogno di spolverare con molta cura la manica della giacca per scacciare una macchiolina inesistente, della polvere invisibile. Dopo questa operazione rialziamo gli occhi e diamo la risposta che l’altro si aspetta da noi. Distogliere gli occhi da chi parla, con un pretesto qualsiasi, è segno che si sta mentendo (come vedremo in seguito). Quindi chi compie questo gesto indica che non è d’accordo, ma non può dirlo apertamente. Se, dopo aver impartito le vostre disposizioni ai collaboratori riuniti, essi, prima di rispondervi «va bene», iniziano a ripulirsi o a togliere polvere immaginaria dal piano del tavolo, non vuol dire che il vostro ufficio è stato invaso da una nuvola di polvere, ma che forse avete chiesto loro di fare qualcosa che essi disapprovano, ma che non hanno il coraggio di dirvi. Se a questo punto non fate marcia indietro, chiedendo loro che cosa ne pensano, rischiate di trovarvi l’indomani con il lavoro non fatto e per questo verranno addotte le

scuse più disparate. Allontanare un oggetto Il senso di rifiuto che si prova verso una persona, o verso quanto sta dicendo, si traduce in uno stimolo a livello corporeo che porta al bisogno di eliminare anche fisicamente dalla nostra vista quella persona; se questo non è possibile, quell’impulso di rimozione è dirottato verso l’oggetto a noi più vicino. E allora, come se avessimo bisogno di uno spazio maggiore, allontaniamo le carte che abbiamo davanti, il portacenere o semplicemente la penna. In questo modo si respinge anche una proposta o un incarico che riteniamo magari troppo gravoso per noi. Se poi, allontanando l’oggetto, lo spingiamo deliberatamente con un gesto brusco verso il nostro interlocutore, è ancora più chiaro che è lui che stiamo rifiutando, non quello che dice (fig. 24).

Fig. 24

Tamburellare le dita Di solito si pensa che chi tamburella le dita sul tavolo sia nervoso e gli si chiede di stare calmo e aspettare: ma è proprio quello che la persona non può più fare. Questo gesto rivela la sua impazienza: egli si è stancato e non vede l’ora che il discorso venga chiuso o, meglio, che voi smettiate di parlare e diate un po’ di spazio anche a lui. Su le mani Alzare una mano con il palmo aperto rivolto verso una persona equivale a dire “stop, non ti lascio andare oltre: non passare questo confine”.

Fig. 25

Alzare improvvisamente due mani nel momento in cui ci viene chiesto qualcosa, imitando il gesto del chirurgo che, prima di entrare in sala operatoria, solleva le mani per non toccare nulla, equivale a dire “mi è impossibile prendere in mano la cosa, non ne voglio sapere niente” (fig. 25). Mostrare il polso C’è infine un altro gesto, tipicamente femminile, che si compie come segno di arrendevolezza e disponibilità. Quando una donna vuole dimostrare o ricambiare l’interesse che una persona dimostra nei suoi confronti, tende a esporre il polso, magari per reggere una sigaretta oppure solo per accarezzarsi i capelli. LE STRETTE DI MANO Quando diamo la mano a qualcuno, non facciamolo in modo superficiale, ma fermiamoci un istante a pensare alla sensazione che ne riceviamo: questo può aiutarci molto in futuro a comprendere meglio la persona appena conosciuta. Stretta forte Ci sono persone che vi stringono la mano con tale forza che sembra vogliano stritolarvela: vi è subito chiaro che si tratta di una persona decisa, abituata al comando o forse di uno sportivo non consapevole della propria forza. Una stretta di mano solida e ferma appartiene a una persona altrettanto solida e attiva. Stretta molle Al contrario, una mano molle, scivolosa, che sembra liquefarsi nella vostra, vi fa capire che avete di fronte una persona molto timorosa, insicura e, forse, anche pigra, che tende ad essere troppo idealista e sognatrice.

Stretta sfuggente Chi vi dà la mano in punta di dita o offre una presa sfuggente, ritirando la mano nel momento stesso in cui avviene il contatto, dichiara di non aver fiducia in se stesso e, forse, neanche in voi che siete degli estranei e usa questo stratagemma per tenervi a una certa distanza. Considerate, però, che vi sono persone che tengono molto all’incolumità stessa delle loro dita, in quanto esse costituiscono lo strumento del loro lavoro, come chirurghi e pianisti; costoro infatti possono evitare una stretta di mano troppo forte al fine di proteggere le loro dita. Stretta umida Se stringete nella vostra una mano paffuta, e probabilmente un po’ sudata, con le fossette visibili sul dorso, capite che la persona che state salutando preferisce i piaceri fisici a quelli spirituali ed è, forse, anche molto golosa. Stretta che respinge Vi può capitare invece di sentirvi come respingere, mentre stringete la mano di qualcuno: il suo braccio resta infatti rigido e vi impedisce di avvicinarvi. È una sensazione sgradevole, ma in questo modo l’altro vi sta tenendo a una certa distanza, non necessariamente perché prova antipatia nei vostri confronti: forse è solo riservato o abituato a vivere in spazi più ampi. Quando una persona vi tende il braccio per darvi la mano vi trasmette anche un’informazione riguardo al luogo in cui è cresciuta o è solita vivere: e cioè se proviene dalla città o dalla campagna. Chi è cresciuto in zone non densamente abitate, come già abbiamo visto, ha bisogno di più spazio intorno a sé, e si mantiene a distanza maggiore degli altri, ed è da quella distanza che preferisce salutarvi con un gesto. Se, invece, deve formalmente stringervi la mano, è probabile che resti fermo sul posto e per poter afferrare la vostra mano si pieghi in avanti con il braccio rigido e teso (fig. 26). Una persona cresciuta in città farebbe automaticamente un piccolo passo in avanti per poter agevolare una simile presa, giudicata troppo lontana.

Fig. 26

Stretta che avvicina Capita però anche l’opposto, e allora quando si dà la mano ci si sente tirare troppo vicino all’altra persona. Chi tira il braccio vicino a sé, in modo da farci avvicinare, è molto insicuro e vuole spostare il rapporto, qualsiasi rapporto, dal piano relazionale e sociale al piano affettivo e più personale. Esercizio Ogni stretta di mano può rivelare qualcosa di una persona. La vostra com’è? Chiedete ad alcuni amici cari di dirvi con onestà quale sensazione ricevono dalla vostra stretta di mano. Se la loro risposta non vi piace, cercate di porvi rimedio. Nei miei corsi le persone vengono filmate anche quando si presentano e si stringono la mano, per valutare insieme quale sia la loro stretta abituale e quale ne sia il significato. Dal modo in cui una persona ci tende la mano è possibile capire anche in che modo intende relazionarsi con noi: se da persona alla pari, se desidera dominarci e tenerci in pugno o se si dichiara già a priori sottomessa. Questo lo si può capire dalla posizione del palmo, che può essere presentato rivolto in su, di fianco o in giù. Stretta del perdente Una mano tesa con il palmo rivolto verso l’alto rivela un atteggiamento di debolezza: la persona è pronta ad essere sottomessa e lo sarà realmente nel momento in cui, per afferrare la sua mano, ci ritroveremo a dover appoggiare la nostra sopra la sua. Stretta alla pari

La stretta tra due persone che si rispettano, si stimano e tra le quali non esiste alcun bisogno di dominare o di essere dominate avviene tendendo i palmi verticalmente.

Fig. 27

Se questo non è il vostro modo abituale di stringere la mano, è necessario che lo impariate al più presto (fig. 27). Stretta dominante Ci sono poi le persone che hanno l’abitudine di porgere la mano con il palmo rivolto verso il basso: per poterla afferrare siete costretti a porre la vostra in posizione di sudditanza, che lo vogliate o meno. Questa stretta di mano è tipica delle persone che hanno l’abitudine di comandare e che desiderano dominare gli altri. In ogni caso è quello che cercheranno di fare con voi, se accettate di sottomettervi a questo tipo di presa. Alcuni testi sul linguaggio del corpo suggeriscono alcune tecniche da attuare per cercare di neutralizzare una simile sgradevole stretta. Ritengo che non sia necessario ricorrere ad esse: in fondo è sufficiente raggiungere la consapevolezza che chi ci ha stretto la mano in questo modo cercherà in seguito di prevaricarci, di manipolarci e di trattarci dall’alto in basso, perché ci considera inferiori a lui, o quanto meno ritiene che lo diventeremo presto. Tre modi per neutralizzarla Se invece volete evitare di sottostare a una simile presa, queste sono le tre tecniche da attuare. PASSO LATERALE - Il primo modo, che richiede però molta preparazione, ha il vantaggio, se ben eseguito, di non essere visibile: la persona che vi porge la mano in posizione dominante si ritrova alla fine a stringere la vostra in maniera paritaria senza essersi reso conto di come ciò sia avvenuto, né che voi avete smascherato la sua intenzione. A presa avvenuta, voi dovete semplicemente avanzare con un piccolo passo verso sinistra, in modo che, spostandovi di lato, vi sbilanciate leggermente e “involontariamente” ruotate la presa in posizione verticale. Sarete voi a quel punto a intimorire l’altro, in quanto così facendo gli sarete finiti piuttosto vicini, tanto da invadere il suo spazio.

PRESA DEL POLSO - Se invece volete dichiarare che il capo siete voi e certi tentativi di predominio con voi non funzionano, quando una persona vi porge la mano con il palmo in basso, afferrate il suo polso. Se decidete di ricorrere a questa seconda tattica, dovete essere pronti anche ad accettare le conseguenze che una simile dichiarazione di guerra può comportare (fig. 28).

Fig. 28

STRETTA A DUE MANI - Un altro sistema utile per neutralizzare un tentativo di stretta di mano dominante è quello di afferrare con due mani la mano che ci viene tesa. L’effetto che se ne ricava è di estrema cordialità; il fatto però che una simile stretta venga spesso compiuta da politici o personaggi importanti quando incontrano la gente, indica anche che si tratta di un saluto effettuato dall’alto in basso. Questa stretta a due mani ha realmente un senso se fatta tra persone che si conoscono bene e tra le quali esiste un profondo legame: in questo caso dimostra che si è totalmente con l’altra persona, e che gode di tutta la nostra stima e del nostro affetto (fig. 29).

Fig. 29

Sono sempre riservate a rapporti amichevoli e cordiali le strette di mano che si eseguono posando l’altra mano sul braccio o sulla spalla. Per fare questo gesto ci si avvicina molto di più all’altro e gli si può così manifestare la nostra solidarietà. Questo è comunque un gesto protettivo e, come tale, tende a sottomettere. Lo può fare un padre nei confronti di un figlio, mentre gli dice: «Mi raccomando, abbi cura di te»; raramente succede il contrario (fig. 30).

Fig. 30

LE DITA Anche le dita hanno un loro linguaggio: lo sanno bene i direttori d’orchestra che, con impercettibili movimenti delle dita, riescono a comunicare le più piccole sfumature all’intero gruppo dei musicisti. Ogni dito ha un suo significato ed esprime emozioni diverse. Il pollice Il pollice è il dito più forte dal punto di vista fisico, poiché opponendosi agli altri permette di afferrare. È il simbolo dell’ego: ostentarlo significa affermare il proprio dominio sugli altri, la propria superiorità. Si dice che gli antichi romani usassero indicare con il pollice alzato se il gladiatore doveva essere graziato e con il “pollice verso” se doveva invece morire (fig. 31).

Fig. 31

Indicare una persona usando il pollice è considerato un gesto piuttosto offensivo per il destinatario di tale attenzione, perché viene vissuto come una mancanza di rispetto e una presa in giro (fig. 32).

Fig. 32

Avete presenti quelle persone che iniziano a parlare di sé, di quanto sono state brave e, con un gesto di autocompiacimento, si afferrano il bavero della giacca ostentando il pollice (fig. 33). Ogni volta che qualcuno cerca di portare il discorso e l’attenzione su di sé i pollici vengono messi in mostra. Se si cerca, invece, di trattenersi, perché le circostanze non consentono di esprimere quanto si vorrebbe, ecco allora apparire il tipico gesto delle braccia incrociate, dalle quali sbucano due pollici puntati in alto (fig. 34). A volte le mani vengono infilate nelle tasche, dalle quali i pollici escono imperiosi, rivelando desiderio di dominio e grande sicurezza di sé. Chi invece infila le mani nelle tasche posteriori tenendo i pollici in vista è come se cercasse di mascherare il suo desiderio di dominare la situazione o i presenti (fig. 35).

Fig. 33

Fig. 34

Se ostentando i pollici si cerca di portare l’attenzione su di sé, nascondendoli tra le altre dita si afferma esattamente il contrario, e cioè il bisogno di non essere osservati (fig. 36). Valenza molto più forte hanno i pollici infilati in cintura o nelle tasche anteriori dei pantaloni: con le altre dita aperte, e rivolte in basso, si sottolinea la propria virilità. Questo gesto, associato a gomiti allargati, è anche un segnale, quasi animale, di interesse sessuale nei confronti di una donna (fig. 37).

Fig. 35

Fig. 36

Fig. 37

L’indice Il dito più espressivo e più usato è l’indice. Da tutti brandito, spesso a sproposito, come un bastone di comando o come la clava con la quale i nostri antenati si difendevano dall’intrusione di un aggressore. L’indice è il dito del potere e del comando: lo si espone infatti per impartire degli ordini; ma è anche il dito che sa e infatti lo si usa per indicare, sottolineare, ammonire. Chi sa molte cose può fare anche molto, perché “sapere è potere”. Il gesto di comando Di solito si usa mostrare a qualcuno il lavoro che deve eseguire segnalandolo con l’indice (cioè, appunto, indicandolo). Sospendete per pochi istanti questa lettura e fate una prova: chiedete a chi vi è vicino di portarvi un oggetto che si trovi piuttosto lontano dal luogo in cui siete. Usate una frase neutra e senza particolari inflessioni, del tipo: «Per favore, mi porti quella cosa là?». Osservate infine in che modo avete girato la mano mentre stavate formulando questa richiesta. Ci sono due modalità di base per comandare: quella di farlo con la mano rivolta verso l’alto e quella con il palmo girato verso il basso. Impartire un ordine puntando l’indice, ma tenendo il palmo girato verso l’alto, non viene vissuto da chi deve eseguirlo come una prevaricazione; egli non si sente minacciato ed eseguirà volentieri quanto gli viene richiesto (fig. 38).

Fig. 38

Se si ordina, invece, con il palmo rivolto verso il basso e magari con le dita serrate, in modo che emerga solo l’indice puntato, la nostra richiesta assume subito un tono più autoritario, anche se sono state pronunciate le stesse parole e con lo stesso tono di voce (fig. 39).

Fig. 39

Potete ricorrere volutamente a questo gesto se è necessario imporre la vostra autorità, per dichiarare, anche non verbalmente, che è un ordine da eseguire subito e che il capo siete voi. C’è il rischio però che l’altra persona si senta minacciata e, posta ingiustamente in un ruolo di sudditanza, accetti malvolentieri di eseguirlo, o addirittura si rifiuti. Chiedere qualcosa puntando il dito è un gesto irritante che non aiuta di certo a creare un rapporto armonioso. Il medio Chi evidenzia o si strofina il dito medio ha bisogno di essere riconosciuto e apprezzato e, se nessuno lo farà, è probabile che di lì a poco inizierà ad autoincensarsi e a parlare dei suoi successi. L’anulare L’anulare è considerato il dito del cuore: è in questo dito che si infila l’anello di fidanzamento o la fede nuziale. Non essendo un dito dotato di una mobilità indipendente, con esso non si possono compiere gesti specifici, tranne quello di toccarlo nervosamente mentre si rigira o si sfila un anello (fig. 40).

Fig. 40

Giocare con l’anello Giocare con un anello, rigirandolo nel dito, indica che si è attratti da una persona o da quello che ci sta dicendo. Questo gesto, però, può avere anche un’altra valenza e rivelare pensieri nascosti se, ad esempio, si continua a sfilarsi e a rimettersi la fede. Un uomo, mentre sta parlando di lavoro con un suo collega, vede passare una ragazza attraente: questo fatto lo distoglie un attimo dalla conversazione, che viene ripresa subito dopo. Ora però egli giocherella tirando su e giù la fede. Così facendo è come se raccontasse quello che gli sta passando per la mente: “Bella ragazza, quasi quasi…”, e sfila l’anello. “No, si tratterebbe di tradire mia moglie…” e l’anello ritorna al suo posto. “Però la ragazza mi piace…” e l’anello viene sfilato nuovamente… Il mignolo Il dito mignolo è quello dell’apparenza: indica come vogliamo apparire socialmente. C’è chi, ad esempio, pensando di sembrare socialmente più elevato e di buone maniere, afferra la tazzina del caffè con il dito mignolo ben sollevato e in vista, assumendo una posa affettata (fig. 41).

Fig. 41

Gli inglesi per questo tipo di persone avevano coniato un termine, ora usato spesso nel modo sbagliato, snob (s-nob: deriva dal latino sine nobilitate, cioè “senza nobiltà”), per indicare quelle persone che posano per apparire diverse e socialmente più elevate di quanto non siano. In certi paesi c’è ancora l’abitudine tra gli uomini di tenere l’unghia del mignolo molto lunga: viene fatto per dimostrare che ci si è elevati nella scala sociale e non si deve più fare un umile lavoro manuale.

Dita in bocca Quando una persona è molto tesa e ha bisogno di essere rassicurata, si mette le dita in bocca. Da bambini ci si tranquillizzava attaccandosi al succhiotto o al seno materno; da grandi si ripete questo stesso gesto portandosi alla bocca un dito, l’estremità della penna che teniamo in mano, la stanghetta degli occhiali, una sigaretta, oppure ci mordicchiamo le unghie o le pellicine che le circondano.

Fig. 42

Se la persona con la quale stiamo parlando compie questo gesto, prima di proseguire la conversazione cerchiamo di rassicurarla, perché è un momento in cui ha bisogno di essere tranquillizzata (fig. 42).

9 MANI AL VISO…

… PER MENTIRE Avete presente l’immagine delle tre scimmiette, una delle quali si chiude gli occhi, l’altra le orecchie, la terza la bocca, e che stanno a significare “io non vedo, io non sento, io non parlo” (fig. 1)?

Fig. 1

Quando un bambino deve assistere a una scena che lo spaventa o, semplicemente, che non vuol vedere, si copre con le due manine gli occhi e allora quella situazione, così come sparisce dalla sua vista, viene eliminata dalla sua vita. Se poi voi lo rimproverate, o gli chiedete ripetutamente di svolgere un compito per lui sgradevole, egli si copre le orecchie per non sentirvi. Resta, invece, immobile davanti a voi, lo sguardo fisso e la bocca tappata dalle due mani, nel tentativo di impedire alle parole di uscire, se vi ha detto una bugia. Ma il suo gesto è così evidente che l’adulto se ne accorge immediatamente. Crescendo, questi gesti diventano via via più mascherati e meno appariscenti e allora ci si limita a sfiorare il viso, ma il significato resta lo stesso. Cioè, quando vediamo, sentiamo o pronunciamo cose non vere istintivamente la mano si avvicina agli occhi, alle orecchie o alla bocca. Non necessariamente chi compie uno di questi gesti, che ora vedremo nel dettaglio, sta mentendo; con la parola mentire intendo anche che la persona può avere dei dubbi o non essere sicura di quanto si sta dicendo o forse sta solo esagerando o nascondendo la realtà. In ogni caso queste azioni rivelano sempre un conflitto tra ciò che si sta realmente pensando e ciò che si vuole far credere agli altri.

Come si fa allora a capire se una persona non ci sta dicendo la verità? Una delle più importanti capacità di osservazione da imparare è proprio quella di saper riconoscere i gesti compiuti dalle mani che toccano il viso. Coprirsi la bocca Portarsi una mano davanti alla bocca è forse il gesto più evidente effettuato dagli adulti e che si può presentare identico a quello eseguito dai bambini (fig. 2).

Fig. 2

Il cervello ordina alla mano di bloccare l’uscita delle parole che non corrispondono a quanto si sta pensando; la mano allora si appoggia alle labbra, le sfiora, magari solo con un dito, o strofina il mento oppure, raccolta a pugno, si porta per un istante davanti alla bocca, con il pretesto di coprire un improvviso colpetto di tosse (fig. 3).

Fig. 3

Se, mentre voi state parlando, il vostro interlocutore compie uno di questi gesti di avvicinamento di una mano alla bocca, forse non vi crede e pensa che stiate mentendo; se invece lo fa mentre è lui che sta parlando, sta nascondendo qualcosa. Sfiorarsi il naso Mentre diciamo una bugia l’inconscio, come abbiamo visto, ordina alla mano di coprire la bocca, ma, poiché questo gesto appare troppo evidente, la destinazione finale può essere leggermente deviata e allora la mano sfiora per poco il naso prima di ritrarsi (fig. 4).

Fig. 4

Il significato è quindi simile al precedente, e le varianti possono essere tante: dal piccolo improvviso prurito alla punta del naso, al passare un dito di fianco alle narici, allo stringerle per un istante, quasi per trattenere il fiato. Anche questi gesti possono essere compiuti sia da chi parla, e vuole nascondere qualcosa, sia da chi ascolta, e non crede a ciò che sente. Strofinarsi gli occhi Ricordatevi sempre che chi vi sta mentendo eviterà di guardarvi in faccia e sposterà lo sguardo altrove, anche solo per pochi istanti. Il gesto di stropicciarsi un occhio permette di distogliere lo sguardo (fig. 5). Quello, più tipicamente femminile, di guardare in alto e strofinare delicatamente un angolo dell’occhio per non rovinare il trucco rivela la stessa intenzione (fig. 6).

Fig. 5

Fig. 6

Toccarsi un orecchio Il bambino che non vuole sentire una cosa sgradevole si copre le orecchie. Noi adulti limitiamo il gesto tirandoci un lobo o ripiegandolo in avanti in modo da chiudere l’apertura; ci grattiamo dietro l’orecchio o ci infiliamo un dito dentro. Tutti questi gesti stanno a indicare che non si ha più voglia di stare ad ascoltare e che magari vorremmo noi, ora, dire qualcosa in proposito (fig. 7). Strofinarsi la pelle dietro l’orecchio è un modo più specifico per esprimere dubbi sulla verità di quanto ci viene detto. Secondo certi studi, sembra che tale gesto venga quasi sempre compiuto un certo numero di volte consecutivamente.

Fig. 7

Allentare il colletto Provate a pensare se vi è mai capitato, in un momento di particolare stress, di infilarvi un dito nel colletto della camicia come per allentarne la pressione attorno al collo. Questo gesto, oltre a rivelare che in un particolare stato di oppressione si sta cercando di allentare un’arrabbiatura, rivela anche che si ha bisogno d’aria: si sta vivendo un conflitto tra ciò che ci viene richiesto e quello che non desideriamo dire.

Fig. 8

In altre parole, colui che sta mentendo e teme di non poter reggere le domande incalzanti può ricorrere a questo gesto; tra l’altro, per scostare il colletto, si deve forzatamente abbassare lo sguardo (fig. 8). Battersi la fronte o la nuca Infine, anche il gesto di battersi la nuca, con la sua variante di battersi una mano sulla fronte, può per qualche verso rientrare nei gesti che rivelano una difformità tra ciò che si fa e quello che si pensa.

Fig. 9

Avete chiesto a un vostro amico di farvi un favore: lo incontrate e gli chiedete se si è

ricordato. Lui come risposta si dà una pacca sulla fronte. Voi avete capito il senso di questo gesto: “accidenti, scusami. Me ne sono proprio scordato; ma dove ho la testa?” (fig. 9). Se invece lui rispondesse alla vostra richiesta dandosi una botta sulla nuca, il risultato per voi sarebbe lo stesso: non avreste ricevuto quel favore, ma è diverso il suo stato d’animo nei vostri confronti. Un simile gesto denota infatti che egli probabilmente vi considera una persona petulante, un seccatore che gli fa perdere del tempo, e gli fa pesare la dimenticanza.

Fig. 10

Chi si dà a mano aperta una botta sulla fronte è come facesse “mea culpa” e ammettesse il suo errore; è una persona più aperta, sincera e positiva di chi, invece, abbassa lo sguardo e si picchia la nuca, rivelando implicitamente sentimenti di fastidio, critica, rancore (fig. 10). È possibile imparare a mentire? Ora che sappiamo quali sono i segnali più evidenti che rivelano una menzogna, è possibile imparare a mentire? In linea di massima, fino a un certo punto e per un breve periodo, sì. Le persone che per lavoro devono parlare in pubblico, come presentatori televisivi, attori o politici, possono esercitarsi a controllare la gestualità in modo che nulla trapeli di quanto realmente pensano. Ma è difficile contraffare il linguaggio del corpo per un lungo periodo di tempo: ci si obbliga a tenere ferme le mani perché non ci tradiscano, ma prima o poi altri gesti e micro-segnali compaiono. Sono rimasti celebri gli esperimenti condotti da alcuni studiosi americani di comportamento e descritti da Desmond Morris. Al fine di studiare la gestualità inconscia del corpo durante una situazione di stress causata dall’essere obbligati a mentire, sono stati filmati i comportamenti di alcune allieve di una scuola di infermiere. Era stato chiesto loro di assistere ad alcune proiezioni, più o meno cruente, e poi di riferire a volte il vero, a volte il falso. La motivazione che doveva indurle a mentire bene era la necessità di imparare a nascondere ai pazienti molto gravi il loro reale stato di salute, per rassicurarli. L’analisi

comparata di tutti i filmati ha portato alle seguenti conclusioni. Quando le ragazze mentivano: – i loro gesti risultavano notevolmente rallentati, come se inconsciamente esse sapessero che la loro gestualità avrebbe potuto tradirle e cercassero di sopprimerla; invece diventava frequente il gesto di scrollarsi dalle mani un invisibile disagio; – avvicinavano le mani al viso o lo toccavano con una frequenza maggiore del normale; – sembravano come “sulle spine” e, se erano sedute, compivano dei piccoli spostamenti irrequieti sulla sedia; – le espressioni e la mimica del loro viso era identica a quando dicevano il vero, ma apparivano delle piccole e rapide contrazioni dei muscoli facciali, dei micro-segnali quasi impercettibili ad occhio nudo. Come smascherare una bugia Proviamo qui a riassumere quanto esposto finora, per riunire in pochi punti essenziali le gestualità che possono rivelare che chi ci parla non sta dicendo la verità. Se il vostro partner rientra molto più tardi del previsto, giustificandosi con un improbabile impegno di lavoro, e voi avete dei dubbi, mentre risponde alle vostre domande osservatelo con attenzione. Se tiene le mani piuttosto ferme o infilate in tasca, se il suo sguardo evita il vostro o, al contrario, rimane inespressivo e fisso su di voi, se si sfiora ripetutamente il viso, se allenta il colletto della camicia o è irrequieto sulla sedia, avete fondati motivi per credere che vi stia mentendo. … PER GIUDICARE E DECIDERE È utile, mentre si sta parlando oppure vendendo qualcosa, conoscere qual è l’opinione della persona alla quale il nostro messaggio è diretto. Osserviamo quindi con attenzione se, e in che modo, il nostro interlocutore avvicina una mano alla guancia o al mento. Mano contro la guancia Chi sta ascoltando e valutando con interesse quanto gli stiamo dicendo tiene la mano chiusa contro la guancia, con l’indice puntato in alto verso la tempia (fig. 11).

Fig. 11

Mano che regge la testa Se l’argomento perde improvvisamente di interesse e il vostro ascoltatore si sta annoiando, la sua mano non è più accostata alla guancia, bensì viene usata per sostenere la testa (fig. 12).

Fig. 12

Questo è un segno evidente che la persona si sta annoiando e fa fatica a continuare ad ascoltarvi. Se ve ne accorgete, modificate subito qualcosa: cambiate tono di voce, proponete una pausa e magari offrite un caffè. Pollice sotto il mento Ora, se la persona che vi ascolta con attenzione, mano alla guancia e indice in alto, sposta il pollice sotto il mento, quasi a sorreggerlo, mentre l’indice arriva fino ad abbassare il bordo dell’occhio, qualcosa nel suo modo di pensare è cambiato (fig. 13).

Fig. 13

Attenzione: ora egli vi sta giudicando, vi sta valutando criticamente e negativamente. Il pollice fa dunque la differenza tra un gesto di ascolto interessato e uno di giudizio negativo. Fintanto che rimane questa posizione della mano, non cambia il suo atteggiamento mentale: ma ormai voi sapete come correre ai ripari e fargli modificare il gesto. Toccarsi il mento «Signore, le piacciono queste cravatte? Quale sceglie?». Voi vi strofinate il mento e dite: «Dunque, vediamo un po’…». Accarezzarsi o toccarsi il mento rivela che la nostra mente sta valutando una certa situazione per arrivare a prendere una decisione (fig. 14).

Fig. 14

Quando proponiamo una cosa a qualcuno, prima egli ci ascolta, valutando con interesse più o meno positivo quanto stiamo dicendo (vedi figg. 11 e 13); poi, quando viene sollecitato a dare una risposta e a dire che cosa ne pensa, il gesto cambia e la mano passa al mento. Mentre mantiene questa posizione è meglio non interrompere il flusso dei suoi pensieri e aspettare il gesto successivo, che può essere rivelatore della decisione che sta per comunicarvi. Se si sporge verso di voi, sarà affermativa; se invece si ritrae indietro sulla sedia e incrocia le braccia, sta per dirvi di no. Se siete rapidi, avete i pochi istanti che intercorrono tra questo gesto e la frase che sta per pronunciare per correre ai ripari e cercare di modificare la vostra proposta.

10 GIOCARE CON GLI OCCHIALI

Non solamente gli occhiali scuri, ma anche qualsiasi tipo di occhiale portato sempre incollato al viso costituisce una barriera che ostacola la comunicazione tra noi e gli altri. Inoltre, molti gesti che inconsciamente eseguiamo con gli occhiali possono essere rivelatori di particolari stati d’animo. TOGLIERLI Quando parliamo con qualcuno, cerchiamo di toglierli ogni tanto: forse noi non vedremo nulla, ma daremo all’interlocutore la possibilità di osservare il nostro viso, la cui espressione viene inevitabilmente modificata dagli occhiali. Se poi usiamo i piccoli occhiali a mezza luna per leggere, sfiliamoli quando stiamo parlando.

Fig. 1

Venire guardati al di sopra di un paio di occhiali ci fa sentire giudicati, scrutati, ed è facile che tendiamo a porci sulla difensiva (fig. 1). Mentre chi sposta per praticità gli occhiali sulla fronte quando non li usa rivela di essere una persona molto pratica e riflessiva.

Fig. 2

Mordicchiare una stanghetta degli occhiali denota insicurezza, ma anche bisogno di prendere tempo per riflettere prima di rispondere: non si può parlare a bocca piena (fig. 2). È meglio aspettare che la persona si rimetta gli occhiali prima di continuare la conversazione: rispettiamo il segnale (“ci sto riflettendo”) che sta emettendo. LE MONTATURE

Fig. 3

Oltre agli occhiali con la montatura a mezza luna che, se indossati mentre si parla, conferiscono un’immagine sospettosa e critica, tutte le montature possono modificare, sottolineare o alleggerire alcune nostre caratteristiche. Chi vuole apparire freddo, autoritario, tecnico e professionale sceglierà una montatura piccola e metallica; l’effetto contrario si ottiene, per non essere presi troppo sul serio, indossando montature di plastica colorata: avete presente l’assortimento di occhiali di Elton John? Per cercare di rafforzare la propria immagine autoritaria si possono portare occhiali dalla montatura grande e pesante che scendano a coprire parte delle guance. Questo tipo di occhiali, oltre che a incutere soggezione, rende però triste la nostra espressione e ci invecchia (fig. 3). GESTI CON GLI OCCHIALI Da questo momento incominciate a osservare le persone che portano gli occhiali: vedrete quanti gesti si possono fare. Ognuno di essi rivela un sentire profondo, fatto di dubbi o di certezze e di pause di riflessione, che a livello gestuale si manifestano con bruschi movimenti che tendono a sfilare e a rimettere gli occhiali.

Voi siete a colloquio con un uomo che porta gli occhiali. Mentre state esponendo un problema, egli se li sfila e guarda altrove: non vuole vedervi ed essere costretto ad affrontare quell’argomento. Poi porta una stanghetta alla bocca e la mordicchia, oppure fa dondolare l’occhiale reggendolo con due dita: ha trovato un pretesto per ritardare il momento in cui deve darvi una risposta e così può avere più tempo per riflettere (fig. 4). Quando si rimette gli occhiali, è pronto per cominciare a parlare. Fate attenzione, però, che non li spinga troppo contro gli occhi: questo gesto significa che vuole vedere meglio, perché quanto gli state dicendo non lo convince e non desidera essere interrotto.

Fig. 4

Peggio ancora se li sfila e inizia a pulirli con cura: ritiene che gli stiate dicendo delle sciocchezze e vorrebbe eliminare i vostri discorsi con la stessa facilità con la quale toglie la polvere dai suoi occhiali. A questo punto, se voi non ponete la questione in una maniera totalmente diversa, può darsi che il colloquio si concluda non appena si toglie definitivamente gli occhiali dal viso e li ripone: ha preso una decisione e voi ormai non potete più aggiungere altro.

11 COME SI FUMA

PERCHÉ SI FUMA? Molto si è detto sul fumo, sull’insicurezza di fondo che spinge una persona a dover ricorrere frequentemente al gesto di accendere una sigaretta e sul piacere orale di tenere qualcosa tra le labbra per compensare antiche mancanze di affetto. Qualunque sia la motivazione profonda, anche chi fuma può rivelarci qualcosa di quello che gli si sta muovendo dentro, a seconda dei gesti che compie e di che cosa fuma. Una persona tesa e imbarazzata fa dei piccoli gesti rassicuranti, quali mordicchiarsi le unghie, tamburellare con le dita, far tintinnare le monetine in tasca: un fumatore si accende una sigaretta. IL FUMO: DIREZIONE E VELOCITÀ Osserviamo la nuvola di fumo che viene emessa: la sua direzione e la sua velocità ci dicono alcune cose. Chi fuma soffiando verso l’alto è sicuro di sé e di buon umore; probabilmente ha avuto una buona idea oppure è ben disposto nei riguardi degli altri. Chi soffia il fumo verso il basso sembra un toro infuriato: è arrabbiato, nervoso; meglio lasciarlo stare in quel momento. C’è un rapporto diretto tra l’intensità dello stato d’animo e la velocità con cui si soffia il fumo: più il fumo viene emesso lentamente, più si è tranquilli e sereni; più viene soffiato fuori con forza, più è grande la tensione interna. Chi emette il fumo dalle narici è molto sicuro di sé, ha molta grinta e autocontrollo, tiene la situazione in pugno. Invece chi tende a soffiare il fumo di lato, da un angolo della bocca, se non è per evitare di soffiarlo in faccia a qualcuno, è probabile che non sia una persona molto corretta e leale. LA PIPA Chi fuma la pipa ha un’alta opinione di se stesso e ci tiene a farlo vedere. Durante il complesso rituale di preparazione e di accensione della pipa il fumatore può

concedersi una lunga pausa di riflessione prima di rispondere e, nel frattempo, questa gestualità lo aiuta a scaricare la tensione. LA SIGARETTA Il fumatore di sigarette è una persona, invece, dalle decisioni più rapide e per la quale sarebbe impensabile perdere così tanti minuti preziosi: si può infatti tenere in bocca una sigaretta anche mentre si sta facendo qualcos’altro. IL SIGARO Chi decide di fumare il sigaro è come se andasse sempre in giro con i pollici ostentati: è fiero di sé, ma è anche di buon umore. Avete mai visto un fumatore di sigaro che soffia nervosamente il fumo verso il basso? MODI DI FUMARE Chi fuma tenendo la sigaretta nascosta nella mano (fig. 1) ha un diverso modo di rapportarsi con gli altri rispetto a chi la tiene normalmente in vista. Chi fuma in questo modo è una persona piuttosto chiusa e prudente, che tende a isolarsi dagli altri: non desidera comunicare i suoi pensieri o forse li vuole nascondere.

Fig. 1

Se poi la sigaretta viene tenuta nascosta nel cavo della mano e rivolta verso il basso, forse è poco incline alle confidenze, perché angustiato da un complesso di inferiorità. Chi invece fuma mostrando la sigaretta tenuta distesa sulla punta delle dita, ostenta anche un atteggiamento elegante e raffinato, e una ricerca del lato estetico delle cose. Il rischio è però quello di apparire diversi da ciò che si è realmente (fig. 2).

Fig. 2

Chi fuma guardando la sigaretta che tiene in bocca rivela di essere una persona ostinata e poco elastica, così concentrata su quanto sta facendo o pensando, da curarsi poco dell’opinione degli altri (fig. 3).

Fig. 3

Stringe con forza una sigaretta tra i denti la persona energica e molto attiva che non ama i preamboli e, così come stringe la sigaretta, chiederà a voi di stringere e di arrivare subito al dunque. In ogni caso, chi morde una sigaretta è aggressivo e sotto pressione e potrebbe mordere anche voi (fig. 4).

Fig. 4

Avete osservato che c’è chi fuma tenendo la sigaretta stretta tra pollice e indice? Questo gesto caratterizza le persone frenetiche, espansive e un po’ ansiose. C’è chi invece la tiene tra l’indice e il medio: in questo caso il fumatore rivela di essere una persona che per debolezza e mancanza di fiducia in sé può arrivare a compiere azioni superiori alle sue reali capacità, senza prima riflettere. C’è, infine, chi regge la sigaretta tra il medio e l’anulare: può essere un individuo

superficiale, capace di commettere imprudenze pur di appagare il suo orgoglio e la sua vanità. Se una persona è particolarmente nervosa, nonostante la sua calma apparente, può tradirsi nel momento in cui, reggendo una sigaretta, l’unghia del suo pollice ne punzecchia il bocchino, oppure quando, continuando a parlare, la fissa con insistenza picchiettendola per far cadere nel portacenere della cenere inesistente. Chi la spegne improvvisamente con un gesto sbrigativo rivela di voler bruscamente interrompere l’incontro e sta per comunicarvelo. Se volete spiazzarlo, alzatevi per primi. Osservate il portacenere di un fumatore: se è pieno di lunghi mozziconi di sigarette spente dopo poche boccate, forse quella persona è un po’ troppo superficiale, distratta o anche nervosa (fig. 5). Se le sigarette sembrano essersi consumate da sole, dimenticate nel portacenere, allora può trattarsi di persona discontinua e lenta, perché fa fatica a concentrarsi. Al contrario, mozziconi schiacciati con forza appartengono a una persona che, sotto un aspetto serio e disciplinato, nasconde molta aggressività e bisogno di affermazione (fig. 6).

Fig. 5

Fig. 6

12 COME SI COMUNICA CON LA TESTA

CENNI DEL CAPO Come abbiamo visto, a seconda dello stato emotivo in cui si trova immersa, una persona può assumere abbastanza costantemente un determinato portamento, con la testa piegata in avanti, tenuta diritta o incassata nelle spalle. Certe posizioni della testa e cenni del capo possono però manifestare alcuni nostri atteggiamenti sociali inconsci e rivelare qual è il tipo di rapporto che vogliamo instaurare con gli altri: in ultima analisi, rivelano l’opinione che abbiamo di noi stessi e del prossimo. Annuire e negare I gesti più comuni che vengono compiuti con la testa sono quelli di annuire o di dissentire. È interessante notare che a volte si possono osservare, anche in questo caso, dei doppi messaggi: la persona ci sta dicendo che farà sicuramente quella cosa e intanto con il capo compie un gesto di diniego. Se non ce ne accorgiamo, in seguito ci dirà, scusandosi, che si è dimenticata di farlo. Quel gesto contraddittorio stava a indicare che inconsciamente era contraria, anche se pensava di dover dire di sì. Testa eretta Chi mantiene la testa eretta conserva anche la massima attenzione: è presente, cosciente a se stesso e partecipa attivamente. Testa in avanti Chi piega la testa in avanti indica che prova ostilità e che il suo stato d’animo è negativo e critico; è probabile che questo gesto si accompagni a braccia e gambe incrociate (fig. 1).

Fig. 1

Testa all’indietro Il collo sorregge la testa, ne garantisce la mobilità e le permette di guardarsi attorno; ma il collo è un punto debole e può essere necessario proteggerlo. Gli animali da preda attaccano i nemici azzannando loro la giugulare, il cucciolo si dichiara inerme e arrendevole mostrando la gola. L’uomo per mostrare la gola deve piegare la testa all’indietro e alzare il mento: questo è un segnale arrogante di superiorità e di sfida. È come dichiarare: “io non ti temo, tanto che ti mostro la mia gola”. In questo modo, inoltre, si guardano gli altri dall’alto in basso (fig. 2).

Fig. 2

La donna, che scostandosi i capelli mostra il collo e magari lo accarezza, dichiara invece la sua arrendevolezza e disponibilità. Ella dimostra di avere piena fiducia nell’altro, tanto da offrirgli il collo, la sua parte più fragile (fig. 3).

Fig. 3

Testa inclinata Un cane, quando ascolta attentamente gli ordini del padrone, piega la testa di lato come per sentire meglio. Anche un bambino che è assorto dalla narrazione della fiaba che gli state leggendo inclina la testa da un lato. Quindi, una persona che ci ascolta, inclinando leggermente la testa di lato, rivela che ci sta ascoltando con molta attenzione, ammirazione e anche fiducia, perché in quella posizione espone il suo collo scoperto (fig. 4). Le donne possono usare questa gestualità e inclinare la testa per apparire bambine fragili e indifese, e in questo modo farsi perdonare qualche loro colpa (fig. 5).

Fig. 4

Testa che ascolta

Fig. 5

Fig. 6

A proposito di ascolto, sapevate che ognuno di noi usa maggiormente un orecchio rispetto all’altro quando deve ascoltare? Per sapere di quale si tratta, basta guardare da che parte del capo si trova la “rosetta” dei capelli, cioè quel punto in cui i capelli si girano come a spirale (fig. 6). L’orecchio più attivo è quello situato dalla stessa parte, mentre il capo si trova così leggermente inclinato dal lato opposto. Se la rosetta è centrale, l’ascolto è uniforme e la testa resta diritta. LE ESPRESSIONI DEL VISO Le espressioni del viso dipendono direttamente dai nostri stati d’animo, sono i movimenti del nostro corpo che più conosciamo, che più sappiamo controllare e che con facilità riconosciamo negli altri. Sotto la pelle del nostro viso ci sono più di centocinquanta muscoli, chiamati pellicciai, che reagiscono ai vari stimoli emotivi contraendosi e creando così le varie maschere espressive. Tutti noi conosciamo il volto triste, l’espressione furbetta, quella sorridente o la mimica della paura, se non quella del terrore. E allora si corruga la fronte se si è molto preoccupati, la si solleva in segno di stupore. Se siamo concentrati stringiamo le sopracciglia, le abbassiamo invece, con cipiglio torvo, se diventiamo sospettosi; mentre ne solleviamo una sola se abbiamo dei dubbi. Quando proviamo un forte desiderio o impulso le narici si dilatano, mentre il nostro orecchio vibra e siamo in preda a una forte emotività, che a stento riusciamo a controllare. La fisiognomica Di tutto il viso, dei suoi singoli tratti, delle sue proporzioni e delle sue espressioni si occuperà un mio prossimo libro dedicato espressamente alla fisiognomica. La fisiognomica (detta in greco fysiognomonía, da fysis = “natura”, “aspetto esteriore” e gnómon = “interprete”, “conoscitore”) è l’arte di riconoscere il carattere di una persona, le sue disposizioni naturali, le sue capacità e il suo modo di pensare dai tratti del volto. Già gli antichi avevano intuito che esiste un rapporto molto stretto tra l’aspetto visivo, esteriore di una persona e il suo modo di essere interno: tra il dentro e il fuori. I greci scolpivano le statue degli dei o degli eroi con tratti bellissimi, perché ritenevano che un’anima bella potesse abitare solo in un corpo bello e non potesse esprimersi che attraverso lineamenti del volto altrettanto belli, ma soprattutto armonici. LA BOCCA La bocca è la parte più importante da osservare in un volto, perché un suo movimento può influenzare l’intera espressione. Gli angoli della bocca si sollevano se siamo felici, si abbassano se siamo in preda a una

forte tristezza o disperazione. Nella figura 7 i due volti appaiono molto diversi, ma provate a coprire con un foglio le due metà inferiori: vedrete che le due parti superiori sono identiche.

Fig. 7

Fate ora il contrario e coprite le due parti superiori: appaiono ora due fisionomie e due espressioni diverse. Bocca aperta La bocca riceve non solo il nutrimento: una bocca aperta o socchiusa indica che si è disposti a ricevere, ad ascoltare, a “bere” quello che ci viene detto. Si resta “a bocca aperta” dallo stupore. Mantenendo la bocca aperta si è dunque più ricettivi emozionalmente, ma meno a livello mentale. Finché una persona non chiude la bocca estasiata, con la quale vi sta ascoltando, e ritorna con i piedi per terra, sarà difficile collegarsi razionalmente con lei (fig. 8).

Fig. 8

Bocca chiusa Le labbra serrate chiudono ed escludono. Quando il bambino non vuole più la pappa stringe la bocca. Le labbra strette comunicano, dunque, che non si vuole mangiare qualcosa, che la si rifiuta. Se chi ci ascolta serra la bocca, si chiude nei nostri confronti, rifiutandosi di capire quanto gli stiamo proponendo. Ci dobbiamo allora aspettare che, non appena potrà, ci attaccherà giudicandoci o criticando la nostra iniziativa. Anche chi è abituato a non esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni, la cosiddetta persona “chiusa”, resta a bocca serrata. Le labbra si stringono, infine, per non far uscire nulla, bugie comprese.

Labbro inferiore Quando una persona si tormenta il labbro inferiore, lo tira in fuori, lo strizza, non limitatevi a pensare che è semplicemente a disagio. Se siete di sesso opposto, forse siete voi la causa del suo disagio. Questo gesto rivela infatti la sua voglia di darvi un bacio, di protendere le sue labbra sino a voi. E questo moto dell’anima può creargli dei problemi, non potendolo esprimere a parole e nemmeno attuare. Labbro superiore Ci si “lecca i baffi” di fronte a qualcosa che ci piace molto e che già pregustiamo. Una persona che si passa la lingua sul labbro superiore dimostra di gradire quanto viene detto, perché l’argomento l’attrae e le stimola associazioni mentali piacevoli.

Fig. 9

Parimenti, chi protende le labbra in fuori, quasi a mandare un bacio, è concentrato e sta pensando a qualcosa di gradevole che conta di realizzare quanto prima (fig. 9). Ha lo stesso significato passarsi sulle labbra un dito o una penna. Esercizio Provate ora a mettervi in bocca qualcosa dal sapore aspro e sgradevole, ad esempio un limone molto acido: immediatamente i muscoli del viso si contraggono e la bocca si serra in una smorfia. Se introducete una sostanza molto amara, la bocca si stringe e i suoi lati si abbassano: l’espressione del vostro viso prende “una piega amara”. Succhiate infine dello zucchero: senza averlo deciso volontariamente, la vostra bocca assume un’espressione “dolce”, si solleva e si socchiude. Dimmi come mangi… A proposito di bocca, avete mai prestato attenzione a come mangiano le persone sedute con voi a un tavolo? Non intendo far riferimento al fatto che conoscano o meno il galateo, bensì al modo in cui portano il cibo alla bocca e lo mangiano più o meno

voracemente. Questa osservazione ci può insegnare parecchie cose riguardo alla propensione ad assimilare tutto ciò che proviene dall’esterno, senza andare molto per il sottile. O, al contrario, si tende a vagliare, giudicare, scegliere ogni cosa, idea, persona. Ma non solo: il modo in cui si affronta e si risolve, più o meno velocemente, lo stimolo della fame rivela anche qualcosa dell’atteggiamento di una persona nei confronti del sesso. Alcuni mangiano in fretta e di tutto, senza nemmeno sentire il sapore dei cibi: di loro si dice che sono “di bocca buona”. Non danno niente di loro al cibo che stanno introducendo, e lo stesso faranno con le cose ascoltate, che tenderanno a ripetere senza “masticarle”, senza elaborarle con la propria testa (fig. 10).

Fig. 10

Ci possono essere, all’opposto, persone schizzinose che osservano con cura ogni boccone prima di portarlo alla bocca e che scartano con pignoleria ogni pezzetto a loro non gradito: sono molto critiche e selettive anche con le persone e le idee. E poi ci sono le persone che si appagano più con gli occhi che con i sapori di un cibo e per le quali l’ambiente e la presentazione di un piatto è altrettanto importante di quanto contiene. Ci sono, infine, quelle alle quali non piace mai nulla e hanno sempre da criticare: un partner così avrà sempre qualcosa da rimproverarvi. LA VOCE RIVELA… Ogni sensazione, ogni più piccola emozione si trasmette alla voce, che ne viene modulata; per questo essa è il più ricco mezzo espressivo dell’uomo, e anche lo strumento più facile per comprendere lo stato di salute e d’animo di una persona. Il volume Quando si parla, la voce deve alzarsi e abbassarsi per esprimere le emozioni che si stanno comunicando. Quando la voce si alza alla fine di una domanda, anche il gesto che

stiamo compiendo con la mano si alza. Il volume cala e la nostra mano si abbassa quando si è pronti a cedere la parola ad altri. Se invece si sta facendo solo una pausa, per poi riprendere a parlare, il tono della voce non scende, mentre la testa e gli eventuali gesti della mano restano alti. Se volete che tutti vi ascoltino con attenzione, abbassate improvvisamente il volume della vostra voce, fino ad essere a malapena percepiti. Per potervi ascoltare, i presenti saranno costretti a zittirsi e a concentrarsi completamente su quanto state dicendo. Un livello di voce troppo alto, invece, usato in un contesto ravvicinato, viene considerato come un’invasione di territorio e può creare reazioni difensive. Il tono Una persona fredda e imperturbabile, che non prova emozioni, avrà una voce fredda e monotona, senza alti e bassi, inespressiva. Con la parola “Golem” nella tradizione ebraica si indica un essere che non ha alcuna espressione e non prova alcuna emozione. Se una voce ricca di modulazioni denota una fiorente vita interiore, chi parla con un solo tono di voce viene identificato come un individuo dalla personalità limitata, o forse gravemente disturbato a livello psichico. Per riuscire ad essere ascoltati, molto più importante del contenuto del discorso è il modo in cui lo si dice, il modo in cui la nostra voce colora le varie affermazioni. Se si dichiara, mantenendo lo stesso tono privo di accenti, di “essere felici”, l’informazione che diamo non viene recepita correttamente: non suona convincente, perché il contenuto verbale nega di fatto il linguaggio del corpo, che attraverso la voce comunica altro. Quando si sta dicendo una bugia, la voce, che deve controllare l’emozione provocata dal mentire, diventa improvvisamente monotona, e questo si nota facilmente perché assume un tono diverso da quello abituale. Ogni volta che si blocca un sentimento o un’emozione, la voce ne viene influenzata. Il doppio messaggio La voce permette inoltre di lanciare un messaggio sottile che volutamente contraddice l’azione che stiamo compiendo, in modo da permetterci di non fare brutta figura in caso di rifiuto. Una donna corteggiata, per esempio, va ascoltata non per quello che dice, ma per come lo dice; il suo «No» pronunciato sottovoce e in tono carezzevole svela la sua reale intenzione. Lo stesso può dirsi per chi, parlando di bilanci con una collega, la guarda negli occhi e pronuncia in tono morbido e seduttivo le cifre. È come trasmettere due messaggi allo stesso tempo: “lei è una mia collega e stiamo lavorando” e “ti trovo attraente, ma temo di fare una figuraccia se te lo dico apertamente, perché non so come la puoi prendere”. Se la collega capisce questo secondo messaggio e dice: «Ma, ragioniere, stia al suo

posto!», egli può sempre rispondere di essere stato frainteso, perché non ha detto o fatto nulla di più che corretto. Diagnosi della voce Per la medicina orientale la modulazione e il tono di voce sono regolati dai polmoni e dai reni, mentre la sua speditezza e la cadenza dipendono dal cuore. ACUTA - Una voce che arriva dai reni è ricca e risonante; se invece, soprattutto in un uomo, è acuta, rivela che la persona ha i reni deboli e, specie se sono presenti vistose occhiaie, è anche triste intimamente. GRAVE - Una voce debole e grave, che fa fatica a parlare, rivela disturbi ai polmoni e agli intestini: l’emozione legata ai polmoni è la paura e questa si può riconoscere nella tristezza e nel profondo dolore che la persona prova. La pena è, però, anche in stretto rapporto con la rabbia trattenuta e con la negazione della sua esistenza. IRATA - Un tono di voce irato è facilmente riconoscibile e ci rimanda immediatamente a uno squilibrio del fegato. TRISTE - Se invece la voce è eccessivamente triste e compassionevole e la persona dice abitualmente frasi come: «Oh, poverino…», forse ha la milza in disordine. NASALE - Un tono di voce che parte dal naso indica un perenne stato di ansia e la presenza di parecchi conflitti emotivi bloccati nel corpo. È probabile che anche le spalle siano bloccate e il torace non si dilati correttamente per ricevere la quantità di ossigeno necessaria. Il respiro Anche il nostro respiro, così come ogni altro nostro movimento, può influenzare il nostro prossimo. Una persona che respira affannosamente, in preda all’ansia, renderà ansiosi i presenti, così come un oratore che parla in modo calmo e monotono indurrà in un sonno ipnotico i suoi ascoltatori. Le tre fasi della respirazione: inspirazione, pausa ed espirazione, hanno tre valenze diverse. In condizioni emotive normali il ritmo respiratorio è armonico; in situazioni di particolare emotività si nota invece uno squilibrio con la predominanza di una di queste tre fasi sulle altre. La persona agitata, in conflitto tra due situazioni inaccettabili, tenderà infatti a respirare affannosamente, cioè a inspirare rapidamente e poi altrettanto rapidamente espirare, perché non si sente bene in nessuna delle due fasi.

INSPIRAZIONE - Durante la fase dell’inspirazione il corpo, introducendo ossigeno, acquisisce forza e vitalità. Quando una persona solleva in modo visibile il torace è segno che è pronta ad agire o ad andarsene, poiché ogni azione inizia sempre con un’inspirazione. PAUSA - È il momento in cui si trattiene il fiato, ci si concentra e si prende tempo, prima di passare alla fase successiva. Come abbiamo visto, chi smette di parlare e resta immobile è anche in apnea, mentre sta pensando alle prossime parole da dire. ESPIRAZIONE - Soffiando fuori l’aria viziata si ha un calo di vitalità, quindi ci si trova in uno stato passivo e rassegnato. Una persona depressa tende a inspirare brevemente e il meno possibile, per poi dedicare più tempo a lunghe e lente espirazioni o sospiri. Il riso Dedichiamo un accenno, infine, ai vari modi di ridere, cioè al suono delle varie risate. Un attore conosce bene quanto sto per dire: provate a ridere ripetendo le cinque vocali (fig. 11). Scandite anzitutto un “ha… ha… ha…”. Che cosa vi fa pensare? Forse a una persona un po’ grossa di corporatura, godereccia e felice di vivere.

Fig. 11

Provate ora a ridere con la vocale “e”: “he… he… he…”; questa risata sembra un po’ più falsa e subdola. E ancora: “hi… hi… hi…”; si tratta di quelle risate isteriche che a volte interrompono bruscamente la quiete di una conversazione. Adesso con la vocale “o”: “ho… ho… ho…”; è lo stesso tipo grassoccio di prima, ma ora la sua risata è meno spontanea. Vi ricordate la coppia formata da Stanlio e Ollio? Uno rideva con “hi… hi…”, l’altro con “ho… ho…”, ma nessuno dei due sembrava realmente felice. Infine proviamo la vocale “u”: “hu… hu…”. Si fa fatica a farla apparire spontanea e non sarcastica, non è vero?

CON GLI SGUARDI DICIAMO… Con lo sguardo si può parlare. Si crea un rapporto con una persona se la si guarda, altrimenti è come se per noi non esistesse. Con lo sguardo si può aggredire, investire e fulminare qualcuno, però si può anche accarezzare la persona amata. Si può influenzare un pubblico che ci ascolta o annoiarlo, se il nostro sguardo è spento o assente. Si è soliti dire che “gli occhi sono la finestra dell’anima”; in realtà il bulbo oculare di per sé non esprime nulla. Si riescono a esprimere le più piccole emozioni con le parti del viso che stanno attorno agli occhi, palpebre e sopracciglia, e con i movimenti che facciamo fare loro. Lowen definisce gli occhi «finestra del corpo»: come tali essi permettono a tutto ciò che proviene dall’esterno di entrare. Anche per questo quando si è “capita” una cosa si usa dire che la si è “vista”. Essendo delle finestre, oltre a permetterci di vedere chi abita all’interno, gli occhi possono anche essere “aperti” oppure “chiusi”. E allora vediamo degli occhi spenti che danno la sensazione che dentro non ci abiti nessuno, o degli occhi distanti, come se la persona fosse andata altrove. Ma ci sono anche occhi presenti e luminosi che trasmettono, e che si illuminano di una luce particolare, se sono eccitati e gioiosi, e che si spengono solo quando perdono la speranza. Le pupille La pupilla ha una parte importante nell’impressione che noi riceviamo dell’occhio di una persona. Una volta le donne usavano mettere alcune gocce di Belladonna negli occhi per dilatare le pupille e rendere il loro sguardo più invitante. Si sono fatti parecchi studi, sottoponendo alcune persone alla visione di immagini più o meno gradevoli e, contemporaneamente, filmando il dilatarsi oppure il restringersi delle loro pupille. A parte l’ovvia influenza della luce che, con la sua maggiore o minore intensità, fa stringere o allargare le pupille, si può dire che esse si dilatano quando si vede qualcosa di molto piacevole e si è in uno stato di eccitazione; ma anche l’uso di certe droghe provoca questo fenomeno. Al contrario, in situazioni sgradevoli, negative o di rabbia trattenuta, le pupille si restringono fino ad assomigliare a quelle di un serpente; e allora si dice che una persona ha gli occhi “a punta di spillo”. Si può, allora, fingere di essere allegri o tristi, buoni o cattivi, ma credo sia quasi impossibile riuscire a controllare le dimensioni delle nostre pupille: forse è per questo che chi ha qualcosa da nascondere si copre gli occhi con degli occhiali scuri.

I linguaggi visivi Ognuno di noi, mentre sta ascoltando un racconto o esponendo una situazione, ha una modalità precisa di rappresentare mentalmente, e quindi di vedere e di sentire, quanto viene raccontato. Cioè, ognuno di noi ha un suo linguaggio visivo preferenziale. Per poter avere una migliore comunicazione con il prossimo, può essere importante riuscire a capire qual è il sistema di rappresentazione preferito dall’altro, e sintonizzarsi su quello. Se, ad esempio, vogliamo convincere un amico o il nostro partner a portarci a fare una gita in montagna – per lui estenuante e per noi entusiasmante – inizieremo con il descrivere tutte le cose belle che si potrebbero fare o vedere in quei luoghi (fig. 12 a pagina seguente).

Fig. 12

Se, osservando il movimento laterale delle sue pupille, vi accorgete che egli vi sta ascoltando privilegiando il canale uditivo come modalità di rappresentazione, sarete sicuri di essere ascoltati decantando il rumore dell’acqua della sorgente o il canto degli uccellini. Questo è il tipo di descrizione che a lui “dice molto” (canale uditivo). Se le sue pupille si spostano con frequenza in basso a destra, segnalandovi che si è sintonizzato sul canale cinestetico, egli sta ascoltando le sensazioni che il vostro racconto

gli suscita e allora vi risponderà che “sente” che la cosa si può fare o meno (canale cinestetico). Se, infine, sta vedendo le immagini di ciò che dite, scegliete di usare un linguaggio descrittivo e intercalate la vostra descrizione con “vedi che meraviglia…” (canale visivo). Quando si parla Quando si parla a una riunione, distogliendo lo sguardo si fa intendere che la nostra pausa nel discorso costituisce solo un momento di riflessione e che poi si continuerà a tenere la parola. Alzando invece lo sguardo verso gli altri, in modo tacito si comunica che ora è il turno di qualcun altro di prendere la parola. Un conferenziere che vuole tenere desto l’interesse del pubblico deve parlare preoccupandosi anche che il suo sguardo sia vivo e brillante, in modo da trasmettere che egli crede in quello che dice. Per ottenere questo risultato, di solito si consiglia di guardare il pubblico, o meglio di scegliere una o due persone e su di loro puntare lo sguardo. Se si parla a un pubblico generico, lo sguardo sarà generico, e cioè vuoto, e non riuscirà quindi ad essere coinvolgente e darà inoltre una sensazione di finzione e di insicurezza. Parlare guardando in faccia una persona dimostra che si è sicuri di quanto si dice; evitare il suo sguardo, come già abbiamo visto, insinua il dubbio che si stia mentendo o almeno che si stia affermando qualcosa ancora tutta da verificare. Diciamo infatti: “quando mi incontra evita sempre il mio sguardo; forse si sente in colpa o ha qualcosa da nascondere”. Dove guardare Mentre parliamo, su quale parte del viso dell’altro dobbiamo posare gli occhi?

Fig. 13

Se si tratta di un rapporto di lavoro, nel quale è necessario mantenere un certo ruolo formale, lo sguardo deve spaziare dagli occhi alla fronte (fig. 13). Se lo sguardo si dirige, invece, più in giù fino alle labbra, immediatamente la nostra autorità diminuisce e il colloquio viene portato su un piano più amichevole (fig. 14). Se con questo tipo di sguardo doveste dare una disposizione a un vostro dipendente, lo

autorizzereste a pensare che, nonostante le parole dure che state usando, non è poi così tassativo che egli esegua quanto gli state chiedendo.

Fig. 14

Se aveste usato l’altro sguardo, avrebbe capito che stavate dicendo sul serio. Esistono poi le persone che, non sapendo padroneggiare gli occhi, quando parlano con gli altri lasciano vagare lo sguardo dalla testa al corpo della persona che hanno di fronte (fig. 15). Sentirsi guardare e soppesare in questo modo è abbastanza irritante e può mettere a disagio. A meno che non si tratti di un segnale di corteggiamento che, se viene accettato, provoca di rimando un’occhiata simile.

Fig. 15

Oppure, come risposta, la persona così guardata riporta gli occhi nella zona alta, quella formale, come per dare del “lei” e dire “come si permette?”. Chiudere gli occhi Un altro modo per neutralizzare gli sguardi invadenti è quello di chiudere gli occhi per alcuni istanti (fig. 16). Chiudere gli occhi davanti a una persona che ci sta guardando è considerato uno dei gesti più offensivi che si possano fare, perché significa che, inconsciamente, si desidera togliersi dalla vista quella persona, perché non ci interessa o ci annoia. Ci sono persone che quando parlano chiudono con superiorità gli occhi. Non si deve scambiare questo gesto per un momentaneo tentativo di concentrazione; si tratta invece di un impulso inconscio che trasmette “mi sento superiore a voi e mi sto beando delle belle cose che riesco a dire e che voi nemmeno riuscite a capire”.

Fig. 16

Abbiamo tutti presente l’oratore borioso che guarda, anzi non guarda, il pubblico dall’alto in basso e con tono declamatorio e pieno di autocompiacimento regala le sue verità, “dà le perle ai porci”. Chi è solito parlare chiudendo spesso gli occhi di solito tiene anche le mani a cuneo. Soppesare con gli occhi Un altro modo per difenderci quando ci sentiamo aggrediti è quello di soppesare con gli occhi una persona e, in qualche modo, umiliarla. Questo gesto si compie sollevando leggermente il mento, socchiudendo gli occhi e oscillando in su e in giù la testa, come se stessimo, appunto, “soppesando lo spessore minimo” di chi si è permesso di fissarci (fig. 17).

Fig. 17

Con la coda dell’occhio Si può poi guardare furtivamente, con la “coda dell’occhio”, la collega che lavora di fianco a noi e, se il nostro viso è sorridente e le sopracciglia sollevate, forse si tratta di un tentativo di corteggiamento; in ogni caso questo sguardo esprime interesse e ammirazione (fig. 18).

Fig. 18

Ma se lo stesso sguardo si accompagna a sopracciglia aggrottate e bocca serrata, con gli angoli piegati verso il basso, diventa un “guardare di traverso”, e rivela che si provano nei confronti dell’altra sentimenti di ostilità, invidia o critica (fig. 19).

Fig. 19

Per strada Camminando per strada sappiamo, per tacita intesa, che non bisogna fissare negli occhi le persone che si incrociano e che non si conoscono, e lo stesso vale per i mezzi pubblici, l’ascensore o la sala d’aspetto. Non possiamo però nemmeno ignorare gli altri, perché questo equivarrebbe a trattarli da non-persone, cioè a comportarsi come se non esistessero. Di solito, quando due persone si incrociano alzano gli occhi l’una verso l’altra per qualche istante, il tempo di dichiararsi reciprocamente “ti ho visto, io passo da questa parte” e poi subito lo sguardo si abbassa nuovamente. Continuare a fissare una persona che avanza potrebbe essere considerato insultante, invadente o provocatorio. Al mare può essere divertente osservare le persone che passeggiano sul bagnasciuga. Ci può capitare di vedere un uomo e una donna che camminano in direzioni opposte, immersi nei loro pensieri e in atteggiamento rilassato. Per istintiva e naturale civetteria, sempre per cercare di indossare all’ultimo minuto una maschera, anzi un costume in questo caso, e dare un’impressione migliore di sé, nel momento in cui si scambiano una rapida occhiata prima di incrociarsi, assumono per qualche istante una posizione diritta, petto in fuori e pancia in dentro, per poi riprendere subito dopo l’atteggiamento rilassato che avevano in precedenza (fig. 20). CAPELLI, BARBA E BAFFI Anche i capelli, la barba e i baffi hanno un loro linguaggio. La capigliatura da sempre è stata associata a un’idea di forza e di virilità, ed evoca tutto il mondo delle pulsioni. Gli eroi mitici avevano i capelli lunghi. La scimmia è nuda, il leone ha una folta criniera.

I capelli Potremmo paragonare i capelli alle piante che spuntano e crescono sulla superficie della terra. Il loro aspetto, ruvido o morbido, chiaro o scuro, grosso o sottile, indica la condizione fisica e mentale del proprietario. Abitando in climi diversi si hanno tipi diversi di alimentazione e di conseguenza differenti tipi di capelli.

Fig. 20

Chi vive, ad esempio, in un paese nordico, dal clima freddo e poco assolato, avrà in genere capelli e peli più chiari e sottili di chi abita in un paese mediterraneo, che avrà invece capelli più scuri e duri. Non solo l’alimentazione, ma anche i turbamenti emotivi possono indebolire i capelli, favorirne la caduta o modificarne il colore. Questo perché lo stress e le emozioni negative, quali tristezza, rabbia e paura, danneggiano i reni e, per la medicina orientale, tutti i peli che ricoprono il nostro corpo, capelli compresi, sono collegati alle funzioni dei reni. Poiché l’energia dei reni nutre anche gli organi sessuali, i capelli vengono associati al

buon funzionamento di questi organi: gli uomini con una capigliatura robusta avranno anche gli organi sessuali in buona salute. L’analisi dei capelli Guardare i capelli di una persona è un ottimo modo per riconoscere, oltre al suo stato di salute, anche certi suoi atteggiamenti mentali. Prendete un vostro capello e osservatelo. Su di esso è rimasta impressa la vostra storia recente: la zona vicina alla radice indica le vostre condizioni presenti, mentre la punta mostra quelle passate. Osservate se vi sono variazioni di spessore, di ondulazione e se, infine, il capello termina con doppie punte. DOPPIE PUNTE - L’esistenza di queste piccole ramificazioni può rivelare la presenza di qualche disfunzione all’apparato sessuale o la persona sta forse assumendo troppi preparati chimici. CAPELLI BIANCHI - Con l’età i capelli diventano naturalmente prima grigi e poi bianchi. Questo processo può essere accelerato se si ingeriscono troppi cibi di origine animale e poche verdure fresche; lo stesso tipo di alimentazione può contribuire a rendere i capelli particolarmente grassi. La canizie, inoltre, viene messa in relazione con lo stress eccessivo: diciamo infatti “ha avuto un problema così grave che gli sono venuti i capelli bianchi” e anche “la paura fa diventare i capelli bianchi”, e sappiamo che la paura danneggia i reni.

Fig. 21

Anni fa una guaritrice del deserto sahariano mi ha rivelato che cosa fare per impedire ai capelli di diventare bianchi: bisogna strofinarsi spesso le unghie di una mano contro quelle dell’altra (fig. 21). Forse è una sciocchezza; non posso infatti addurre alcuna spiegazione scientifica che in qualche modo possa avvalorare questa affermazione, ma se volete potete provare, perché sembra funzioni veramente.

LA FORFORA - Piccole scagliette di forfora sulla giacca del vostro interlocutore vi segnalano che egli soffre di disordini renali e intestinali e che, psicologicamente, è una persona mutevole e indecisa, facilmente eccitabile e tendenzialmente piuttosto irascibile. CADUTA DEI CAPELLI - Sempre per la medicina orientale, la caduta dei capelli è dovuta a un eccessivo consumo di liquidi e di sale. La calvizie, di solito, si manifesta in zone particolari della testa: sulla parte anteriore e laterale o sulla sommità del cuoio capelluto (fig. 22 a pagina seguente). La calvizie nella zona della fronte e delle tempie (fig. 22, zona a) rivela che parecchie funzioni vitali dell’organismo sono indebolite; di conseguenza questo tipo di persona tende ad essere più intellettuale, e a prediligere l’attività mentale a quella fisica.

Fig. 22

Quando invece i capelli cadono nella parte alta del capo (fig. 22, zona b), la persona ha cuore, fegato e pancreas appesantiti e di conseguenza può essere aggressiva, decisa e più portata alle soluzioni pratiche e ai valori materiali. Barba e baffi Poiché l’area intorno alla bocca è collegata al tratto digerente e agli organi sessuali, la qualità di barba e baffi è strettamente connessa con lo stato di salute di questi organi. FOLTI - Barba e baffi folti indicano che la persona è più portata per l’attività fisica, che è robusta, pratica e poco interessata alle attività mentali. RADI - Se la peluria è più rada, la persona tende maggiormente all’attività mentale, è più delicata e apprezza le cose belle (fig. 23). Chi vuole mostrarsi molto virile e dominatore sfoggia grossi baffi per sottolineare questa sua prestanza. Ricordiamoci, però, che tutto ciò che copre il viso, baffi e barba compresi, costituisce una barriera, un modo per proteggerci dagli altri e mascherare così i nostri stati d’animo e le nostre insicurezze.

Fig. 23

Per la fisiognomica la zona che va tra la punta del naso e il labbro superiore è quella che rivela il modo di considerare se stessi e il mondo che ci circonda. Più è ampia, più la persona vuole essere al centro dell’attenzione, ed è alla continua ricerca di fama e consensi, che invece non interessano assolutamente a chi ha questa zona più ristretta, ed è invece più modesto, attento agli altri e incline alla bontà. I baffi si lasciano crescere per accentuare o ridimensionare questa caratteristica fisica. Per questo può essere piuttosto interessante prestare attenzione alla loro forma e alla loro grandezza. Incominciate a osservare tutte le persone con i baffi che incontrate e domandatevi quale atteggiamento assumono nella vita. La pettinatura Una capigliatura lucida e sana rivela una persona sana fisicamente e anche curata, mentre il modo in cui pettiniamo i capelli rivela anche due atteggiamenti fondamentali: di apertura o di chiusura. SCIOLTA - Una persona aperta, esuberante, giovane, che ama la sfida e le emozioni, insomma la vita, porterà i capelli curati, ma sciolti e naturali (fig. 24). LEGATA - Segno di chiusura, ritegno, disciplina, controllo e vecchiaia sono invece i capelli portati tirati, raccolti o trattenuti (fig. 25). CORTA - Una donna può dichiarare di rinunciare a parte della sua femminilità e disponibilità portando i capelli cortissimi, con un taglio molto squadrato, aggressivo e mascolino (fig. 26).

Fig. 24

Fig. 25

Fig. 26

Nella letteratura l’innamorata scioglie i capelli per l’incontro con il suo amante. Se li taglia è perché va alla guerra. Al giorno d’oggi molte donne portano i capelli tagliati corti: a chi o a che cosa abbiamo deciso di fare la guerra? Gesti con i capelli I capelli possono essere usati, infine, anche per lanciare involontariamente dei segnali e trasmettere delle emozioni. Osservate queste due persone sedute a due tavolini di un caffè (fig. 27): stanno parlando e dai loro gesti è evidente che si sono appena conosciute. Noi, come se fossimo seduti a un tavolo vicino, osserviamo quanto sta succedendo, focalizzando la nostra attenzione, questa volta, solo sui loro capelli. Proviamo.

Fig. 27

SCOSTARE I CAPELLI - La ragazza, con un movimento della mano, si scosta i capelli: questo è un gesto di seduzione, un modo per rendersi più belli agli occhi degli altri; inoltre, così facendo, si scopre il collo, zona considerata molto vulnerabile ed erogena. È chiaramente attratta dal bel ragazzo seduto al tavolo accanto e lusingata dalle sue attenzioni. RAVVIARLI - Ora lui si ravvia con alcuni gesti rapidi i capelli: c’è un noto personaggio televisivo che ha questo vezzo di passarsi continuamente la mano tra i capelli per rimettere a posto il ciuffo, che sempre gli ricade sugli occhiali. Questo gesto, come quello di lisciarsi la cravatta, viene compiuto quando ci si sente guardati con interesse e questo ci lusinga. Compiendolo si dichiara che la cosa ci fa piacere e che vorremmo che l’interesse, suscitato nell’altro, continuasse ancora. Quando, tra amici, voi lodate una persona presente, questi, raddrizzando la schiena e gonfiando il petto come un pavone, si ravvia i capelli come a dire: “sì, sono stato proprio io, continua pure a magnificarmi”. TORMENTARSI UNA CIOCCA - Il nostro ragazzo è quindi lusingato dall’interesse suscitato, ed è probabile che a questo punto si lanci con qualche frase di invito o con qualche proposta poco indovinata, a giudicare dall’atteggiamento di lei, che ora si sta tormentando una

ciocca di capelli. BUTTARLI ALL’INDIETRO - Forse lui è andato oltre e lei è molto tesa e combattuta: ora tocca a lei rispondere. Toglie la mano dai capelli, sorseggia con cura la sua spremuta per prendere tempo e poi butta all’indietro i capelli, scuotendo leggermente la testa. Ha ripreso il controllo della situazione; sicuramente gli sta raccontando una bugia, del tipo: «Uscirei volentieri con te, ma…». Per buttare i capelli all’indietro bisogna scuotere la testa, come quando si fa un segno di diniego, e tenerla leggermente reclinata all’indietro, in atteggiamento di superiorità. Con questo gesto, all’apparenza gentile, si è buttata dietro le spalle l’invito e il ragazzo. Lui continua a parlare perché ancora non ha capito, ma lei compie un gesto risolutivo: estrae un fermaglio, si raccoglie i capelli e gli dice: «Scusa, devo andare…». RACCOGLIERSI I CAPELLI - Quando una donna con la quale si sta parlando all’improvviso si lega i capelli, vuol dire che dentro di sé ha chiuso la sua disponibilità: così come si raccoglie i capelli, raccoglie e ritira le occhiate seduttive che aveva lanciato. LE MASCHERE CHE INDOSSIAMO Lo psicologo americano William James ha scritto che un uomo ha tanti Io quante sono le persone della cui opinione egli si preoccupa, e anche Pirandello ha ripreso questa idea in parecchi lavori. Assagioli chiama le varie maschere che noi indossiamo “sub-personalità” e scrive: «Ci sono tanti Io, tanti esseri contraddittori in noi quante sono le apparenze, le immagini che si riflettono negli altri e che sono costruite dagli altri. Non solo abbiamo una molteplicità di elementi disparati in noi, ma gli altri, rapportandosi con noi, ci proiettano una serie di immagini; ci vedono e ci sentono in modi diversi da quelli che siamo e questi modi spesso contrastano sia con noi sia tra di loro». Provate a pensare alla molteplicità delle maschere che indossate fin dal mattino, quando uscite di casa. Il nostro volto in un solo giorno deve adattarsi e assumere varie espressioni, a seconda dei ruoli che stiamo svolgendo o delle persone che incontriamo. Quante volte, nonostante fossimo stanchi o infastiditi, abbiamo messo una maschera sorridente perché questo era ciò che ci si aspettava da noi? Anche la maschera che ci mettiamo, con la sua finzione, può essere una difesa, può proteggerci dal dover rivelare i nostri veri sentimenti. Per questo sorridiamo sempre, magari a labbra tirate, anche quando non ne abbiamo voglia. Spesso il sorriso è solo una maschera (fig. 28).

Fig. 28

Poiché conosciamo bene il nostro viso, sappiamo indossare una maschera per ogni occasione: conosciamo la faccia adatta a una cerimonia importante, quella contrita da indossare se ci ferma un vigile, quella di circostanza per una situazione dolorosa. Solo invecchiando, quando i muscoli facciali diventano meno elastici, diventa più difficile cambiare faccia. La prima o la seconda impressione? Siamo tutti così abituati a mascherarci che difficilmente le persone riescono a mostrarsi per quello che sono. Ma c’è una piccola astuzia per riuscire a scoprire il vero volto di una persona: richiede molta perspicacia e prontezza di riflessi. Quando si incontra una persona c’è un istante brevissimo di “verità”: è il momento che precede l’atto di indossare una maschera e di entrare in un ruolo, prima di porgersi la mano e salutarsi. In quell’attimo, i due volti sono nudi e si mostrano per quello che realmente sono. Subito dopo, dal modo in cui vi sarete stretti la mano e dalle prime frasi pronunciate, vi sarete fatti un’opinione dell’altro. L’avrete giudicato simpatico o antipatico, arrogante o frivolo; ma attenzione: questa è la seconda impressione. Un istante prima, se siete stati attenti, il vostro cervello ha registrato un’altra immagine della persona che avanzava a viso scoperto: è quella impressione che bisogna cercare di recuperare, a quella bisogna credere e di quella ci si può fidare. Non vi è mai capitato di “sentire” che di una persona non dovevate fidarvi, ma poi vi si è presentata così gentile e disponibile che vi siete ricreduti e le avete dato fiducia? Poi, quando tra di voi è successo qualcosa e colui che credevate amico vi ha giocato un brutto tiro, solo allora vi siete ricordati che era giusta la sensazione iniziale, non il giudizio espresso in un secondo tempo.

13 NOI E GLI ALTRI

Nel nostro libro abbiamo esaminato ogni particolare dello sconosciuto che si avvicinava a noi. Per cercare di capire il linguaggio segreto del corpo è stato necessario compiere un lavoro di frammentazione, che ci ha portato ad analizzare separatamente le varie parti del corpo e i singoli gesti. Ma poiché l’essere umano vive e si rapporta con gli altri nella sua totalità, in questo capitolo finale esamineremo alcune situazioni collettive, che in qualche modo possano riassumere i vari aspetti reali del vissuto quotidiano. Se mi avete letto con attenzione fin qui, a questo punto siete in grado di interpretare le dinamiche che sono in atto nelle situazioni rappresentate qui di seguito, prima ancora di leggere le relative spiegazioni. Provate a farlo come se osservaste delle immagini sullo schermo televisivo, dopo aver tolto l’audio. UN TAMPONAMENTO Osservate la fig. 1 a pagina seguente. Siamo di fronte a una scena che si verifica purtroppo abbastanza di frequente in città: un taxi fermo a un semaforo viene tamponato da un’auto. Il conducente dell’auto (fig. 1, a) scende e con atteggiamento aperto, palme in vista, dichiara la sua disponibilità: si sta scusando e apertamente spiega le ragioni dell’accaduto. Il tassista, al centro (fig. 1, b), sta fermo con le gambe ben piantate e larghe: come un pistolero che sfida il rivale. È chiaramente aggressivo e le mani sui fianchi, che contribuiscono ad aumentare il suo impatto visivo, lo dimostrano. Il signore a sinistra (fig. 1, c) è chiaramente il passeggero trasportato dal taxi; forse si sta recando a una riunione importante – lo vediamo dalla borsa di lavoro saldamente afferrata – ed è anche molto contrariato. La sua mano destra afferra in alto il braccio sinistro: sta cercando di trattenersi nell’inevitabile discussione che sta per aver luogo tra i due. Egli pensa irritato: “cerchiamo di restare calmi, speriamo che la faccenda si risolva in fretta e io possa arrivare in tempo

alla riunione”.

Fig. 1

ALLA FERMATA DELL’AUTOBUS Nel capitolo 3 abbiamo già incontrato i nostri tre protagonisti, che si trovano qui (fig. 2) a vivere una situazione reale. La ragazza (fig. 2, a) e il signore (fig. 2, c) stanno chiacchierando in attesa dell’autobus: i loro piedi e i loro corpi si trovano di fronte. L’altro signore ( fig. 2, b) arriva e, magari con il pretesto di chiedere se il bus è in ritardo, cerca di unirsi a loro. Egli fa però lo sbaglio, forse perché è a disagio tra due sconosciuti, di cercare di intromettersi nel circolo chiuso formato dagli altri due tenendo le braccia serrate. In questo modo manifesta di voler partecipare alla conversazione senza dare, o dire, nulla di sé. La reazione dei due è immediata: lei chiude le braccia, lui infila le mani in tasca, mentre solo la loro testa si gira verso l’intruso. Conclusione: il signore sopraggiunto (fig. 2, b) non è gradito; forse con una risposta secca e formale otterrà l’informazione richiesta, ma niente di più.

Fig. 2

AI GIARDINI Osservate ora questi ragazzi ai giardini pubblici (fig. 3). Lo studente a sinistra (fig. 3, a) si sta rivolgendo alla ragazza (fig. 3, b) in modo piuttosto aggressivo. Con il braccio appoggiato all’albero sembra rivendicare il suo possesso su di lei e pare anche compiere un tentativo di trattenerla: forse è la sua ragazza. Con il dito puntato, con fare minaccioso, le sta chiedendo delle spiegazioni. Forse lei gli aveva detto di non poter uscire perché avrebbe dovuto studiare, invece egli la incontra ai giardini in compagnia di un altro ragazzo. La ragazza, con il braccio destro che le protegge il corpo, si difende, mentre la mano che afferra l’altro braccio indica che è piuttosto irritata da questa scenata di gelosia. Le sue gambe incrociate rivelano la sua non disponibilità, mentre il ginocchio puntato costituisce una barriera eretta contro la sua invadenza e, nello stesso tempo, è anche un modo per essere egualmente seduttiva. Comunque, la sua mano in tasca ci dice che, non appena lui avrà finito l’interrogatorio, lei molto probabilmente gli mentirà.

Fig. 3

Il ragazzo seduto (fig. 3, c) aspetta che l’altro ragazzo la finisca e se ne vada: è tranquillo, le sue gambe aperte sono un segno di sfida nei confronti dell’altro e, contemporaneamente, anche un modo di dichiarare che egli non ha nulla da nascondere. Noi notiamo il libro di lei rimasto sulla panchina e il cagnolino di c che scodinzola alla ragazza, che evidentemente conosce bene. LA COLAZIONE DI LAVORO Questi tre signori si trovano seduti in un ristorante per una colazione di lavoro, ma l’atmosfera appare molto pesante (fig. 4). Forse sono tre soci. L’uomo seduto al centro ( fig. 4, b) deve spiegare agli altri due il suo operato: si sente impotente e rassegnato. Tiene gli occhi bassi: forse non può dire tutta la verità riguardo alle reali motivazioni che lo hanno spinto ad agire in un certo modo.

Fig. 4

È frustrato anche dal fatto che l’uomo alla sua sinistra (fig. 4, c), con la mano sulla bocca, dimostra di non credere alle sue parole, mentre con le gambe “a quattro” trattenute dalla mano sta solo aspettando che finisca la pacata esposizione per aggredirlo verbalmente. L’uomo alla sua destra ( fig. 4, a), a testa bassa, e senza guardarlo negli occhi, sembra interessarsi ai pelucchi apparsi sul polso della sua giacca e che bisogna assolutamente rimuovere. Egli, in realtà, vorrebbe rimuovere tutta la situazione. Conoscendo bene l’uomo alla sua sinistra (fig. 4, b), non può dire le cose come stanno: cioè che la situazione sbagliata, creata da quest’ultimo, è stata risolta solo per merito suo. Amerebbe però che il suo operato venisse riconosciuto. LA RIUNIONE

L’uomo di fronte ( fig. 5, a) è chiaramente il grande capo, è anche visibilmente molto presuntuoso e pieno di sé: con le mani a cuneo dimostra di sentirsi notevolmente al di sopra degli altri, ai quali deve concedere la sua presenza. In questo momento sta addirittura parlando con gli occhi chiusi, per bearsi delle belle cose che ritiene stiano uscendo dalla sua bocca e, nello stesso tempo, col desiderio di escludere gli altri dalla sua vista. È un comportamento arrogante e offensivo, tanto che la pesona in primo piano (fig. 5, c) ha l’atteggiamento di chi sta per andarsene e lasciare la riunione. La signorina (fig. 5, b), molto probabilmente la segretaria, o il braccio destro del capo, non può permettersi un gesto così plateale e si limita a stringere le mani davanti a sé: è nervosa e infastidita, ma non lo dirà mai.

Fig. 5

IN SALA D’ASPETTO La sala d’aspetto di una grande azienda il giorno dei colloqui di assunzione (fig. 6 a pagina seguente). Tre persone aspettano il loro turno. Le gambe accavallate e le braccia serrate rivelano la loro tensione e il loro stato d’animo di chiusura. Chiusura anche nei confronti dei vicini di divano: un qualsiasi scambio di informazioni che trapelasse dalla loro bocca potrebbe compromettere la loro eventuale assunzione. E così anche le bocche sono cucite, mentre tutti e tre guardano davanti, fisso nel vuoto. Forse l’uomo in centro (fig. 6, b) e la ragazza (fig. 6, c) hanno più grinta del ragazzo alla loro destra (fig. 6, a), che si protegge con le braccia, perché il suo tenerle leggermente abbandonate sulle gambe denota un carattere un po’ rinunciatario. È probabile che stia pensando: “non ce la farò mai; siamo in tre e i miei avversari

sembrano troppo decisi”.

Fig. 6

QUANDO ENTRA IL CAPO… Il capo entra nella stanza dei collaboratori, anzi resta sulla porta (fig. 7): la distanza che intercorre tra lui e le tre persone in piedi sottolinea la sua autorità. Egli si rivolge a loro con una mano in tasca, quindi non in modo aperto, mentre con l’altra mano sembra sollecitare una pronta esecuzione delle sue disposizioni. Anche questo gesto però è piuttosto arrogante e autoritario: la sua mano, sebbene girata verso l’alto, appare chiusa e rivolta verso se stesso più che verso gli altri. Il risultato è evidente. La segretaria fidata (fig. 7, a) sembra sugli attenti come in caserma: sa che il suo capo è prepotente e, con le braccia dietro la schiena, si trattiene dal fare commenti e assume l’atteggiamento di chi è pronto a ubbidire.

Fig. 7

Il signore al centro (fig. 7, b) si afferra le braccia: non ammette simili imposizioni; è probabile che si rifiuti di eseguire quanto gli viene richiesto.

L’ultimo collaboratore ( fig. 6, c) è forse il più diplomatico: non apre bocca, o forse può anche dire «Sì, va bene», ma la sua mano in tasca rivela che nasconde ben altri pensieri. UN PICCOLO LITIGIO Ecco di nuovo la nostra coppietta seduta di fronte a un piccolo tavolo di ristorante (fig. 8 a pagina seguente). Appare subito evidente che stanno avendo una piccola discussione e a questo punto siamo abilissimi nell’esaminare ciò che trasmette il linguaggio del loro corpo. Lui, seduto normalmente, tiene le mani aperte di fronte a lei: sta cercando di spiegare le sue ragioni e con il gesto delle mani verticali sta ponendo dei limiti concreti al suo discorso. È sincero e vorrebbe essere creduto.

Fig. 8

Lei è chiusa, molto chiusa: accavalla le gambe, incrocia le braccia, si afferra addirittura un braccio. Quelle spiegazioni che lui le sta fornendo non sono ancora sufficienti a farla rilassare e “aprire”. Inoltre, con la testa piegata di lato e un sopracciglio sollevato, la donna assume l’espressione sospettosa tipica di chi non crede a quanto gli viene raccontato e ne sta soppesando la veridicità. UNA PARTITA A CARTE O A SCACCHI Poiché la pupilla si dilata quando vede qualcosa di piacevole, se riusciste a guardare negli occhi il vostro avversario a carte, forse potreste scoprire se, nonostante quanto va dichiarando con finti gesti di disperazione, le sue pupille si stanno posando su delle carte vincenti. Sappiamo anche che si è di buon umore se si soffia il fumo verso l’alto: e allora il giocatore a destra (fig. 9, b), che è adagiato all’indietro sullo schienale, e sta gettando boccate di fumo soddisfatte, vi fa subito capire che ha buone carte in mano.

Fig. 9

Esaminando la posizione dell’altro giocatore, ci appare molto chiaramente che si trova in difficoltà. Se la partita è, invece, a scacchi, avete una possibilità in più di decifrare le intenzioni dell’altro, oltre a osservare le pupille e la direzione del fumo. Quando è il vostro turno di muovere, avvicinate la mano a un pezzo e, mentre riflettete se sia la mossa giusta da farsi, osservate la reazione dell’altro: se si china in avanti, con le mani sulla fronte, forse sta pensando che se voi realmente effettuerete quella mossa, egli potrebbe trovarsi in difficoltà. Allora è davvero il caso di farla. Se invece, alla vostra intenzione, reagisce tirandosi indietro e usando gesti positivi, egli spera vivamente che voi la facciate, perché ha già previsto come mettervi in difficoltà. Allora, voi dovete togliere le mani da quel pezzo e muoverne un altro. UN PARTY C’è una festa in un grande salone (fig. 10). L’uomo a sinistra ( fig. 10, a) sta indicando alle altre persone, riunite in gruppo a chiacchierare, il tavolo del buffet. Le persone che gli stanno di fronte sembrano piuttosto spaesate e a disagio in una simile situazione. Una parte del disagio per i due personaggi al centro (fig. 10, b e c) può essere stata provocata dall’intrusione dell’ospite (fig. 10, a). La signora, infatti, con le mani serrate davanti, finge disinvoltura, ma cerca rassicurazione; nello stesso tempo il suo piede sinistro è puntato verso l’amico (fig. 10, c), il quale ricambia l’interesse, tenendo a sua volta un piede rivolto verso di lei e le mani in tasca per nascondere agli altri questo interesse. L’uomo all’estrema destra ( fig. 10, d), rivolto verso l’ospite, con le dita in tasca e i gomiti sporgenti, sembra quasi sfidarlo, come farebbe un capo-branco nei confronti di un

intruso. Che cosa staranno mai dicendo che l’ospite non deve sentire?

Fig. 10

QUATTRO CHIACCHIERE CON SIMPATIA La prima cosa che si può notare in questa riunione da salotto è la simpatia che esiste tra i due giovani (fig. 11, a e c): la loro posizione identica e speculare lo rivela. Se si è in sintonia, anche i gesti e le posizioni tendono a diventare simili. Il personaggio al centro è contrariato, forse è a disagio per essere seduto in mezzo ai due giovani. La sua testa, girata verso l’altro ragazzo, sembra esprimere interesse nei suoi confronti, ma in realtà, poiché è la ragazza a parlare, egli gira la testa da lei, perché non vuole sentirla. Con il mento leggermente abbassato disapprova tutta la situazione.

Fig. 11

Se si trattasse della scena di un vecchio film, potremmo pensare che lui è il padre piuttosto seccato dell’interesse che la figlia dimostra per quel ragazzo che a lui non piace.

IN VISITA DA AMICI Una coppia arriva a una riunione che si tiene in casa di amici (fig. 12, a e b). Il marito ha contratto i muscoli dell’addome e con portamento eretto si sta sistemando il nodo della cravatta. Egli ha notato la ragazza (fig. 12, d), seduta sul divano, che ricambia il suo sguardo, e assumendo questo atteggiamento si pavoneggia e cerca di mettersi in mostra. La moglie (fig. 12, a) se ne accorge e appare piuttosto indispettita, tanto che serra le braccia e la bocca. Anche il giovanotto (fig. 12, c) si accorge della cosa e con il gesto di afferrare il divano sul quale la ragazza è seduta vuole dimostrare che lei è un suo possesso. Poiché fa questo solo con un gesto e non a parole, si rinchiude, incrociando le gambe.

Fig. 12

La persona più sciolta del gruppo sembra la ragazza, che con apparente sicurezza ricambia l’occhiata di ammirazione del giovane signore (fig. 12, b): lei è seduta in una posizione che la fa apparire disinvolta e le scopre le gambe, che però sono incrociate, mentre le sue mani sono trattenute dietro il corpo. Si tratta solo di un atteggiamento usato per apparire più seducente e mascherare, invece, la sua timidezza. Forse, se il giovane pretendente (fig. 12, c) non fosse seduto vicino a lei, non si sarebbe permessa una posa così libera.

CONCLUSIONE

Questo libro può avervi offerto uno spunto per continuare questa ricerca, per prima cosa alla scoperta di voi stessi e poi della meravigliosa e varia umanità che vi circonda. Ora che possedete alcuni strumenti in più, uscite al mattino e in autobus, in ascensore, per strada, in ufficio, osservatevi mentre vi relazionate con gli altri, e osservate gli altri, per capirli sempre meglio: in ultima analisi, per capire sempre meglio voi stessi.

Indice

Il Linguaggio Segretodel Corpo Introduzione Il re nudo Anche la gestualità è un linguaggio Il sesto senso L’empatia Le leggi psicologiche Due linguaggi Conoscersi meglio Un viaggio immaginario attorno al nostro corpo Saper “vedere” con il cuore Capitolo 1 - Il Corpo E Lo Spazio Il senso del territorio L’ampiezza del nostro spazio personale Fattori razziali Fattori ambientali Fattori sociali C’è uno spazio per ogni persona Zona intima Zona personale Zona sociale Zona pubblica Un esercizio E l’aura che cosa c’entra? Come reagiamo all’invasione del nostro territorio In automobile Come difendiamo il nostro spazio In autobus In ascensore La folla Le non-persone A un tavolo Ai giardini In treno In famiglia Territorio e proprietà Al cinema Come invadiamo il territorio altrui I simboli dell’autorità Posizione e grandezza degli uffici Open space Dimensioni dell’ufficio e arredamento La scrivania Più alta è la sedia… Il tempo d’attesa Entrare senza bussare L’interrogatorio Lo spazio attorno a un tavolo La posizione frontale

La posizione angolare La posizione di fianco La posizione distanziata Un piccolo trucco Il tavolo da riunione Il tavolo quadrato Sedersi in cerchio In famiglia: il tavolo da pranzo Al ristorante Capitolo 2 - Che Tipo Sei? Uno sconosciuto si avvicina I temperamenti La classificazione degli antichi Il sanguigno Il collerico Il malinconico Il flemmatico Il lavoro ideale Le affinità Le tipologie Il tipo muscolare Il tipo digestivo Il tipo cerebrale Ma il tipo “puro” non esiste Proporzione testa/corpo L’altezza La forma delle spalle Le posture di Lowen Postura ripiegata Postura divisa in due Postura gonfiata Postura sottomessa Postura irrigidita Le fissazioni in bioenergetica L’appendiabiti La gobba Il mezzobusto Capitolo 3 - Come Si Sta In Piedi La diagnosi del piede I meridiani I meridiani dei piedi Dita accavallate Grandezza Altezza Che cosa possiamo capire dalle scarpe Condizioni economiche Le suole Odore Peso a destra o a sinistra Cambiare posizione La direzione dei piedi Posizioni delle gambe Gambe incrociate Gambe larghe Gambe strette Capitolo 4 - Come Si Cammina Le andature Stati d’animo

Il tempo L’uscita Il passo L’appoggio a terra La direzione dei piedi In dentro In fuori Allineati Capitolo 5 - Come Si Sta Seduti Diritti sulla sedia? L’imitazione Angoli e triangoli Le gambe come difesa Gambe accavallate Gambe “a quattro” Caviglie incrociate Altri modi di sedersi A gambe larghe A cavalcioni Dondolarsi Gamba appoggiata Sul bracciolo Sollevarsi Come si siedono le donne Punte in fuori Punte in dentro Piedi uniti Caviglie incrociate Gambe avvitate Gamba ripiegata La seduzione Capitolo 6 - Come Si Dorme Le posizioni del sonno Coperte fino al naso Rannicchiato di fianco Braccia alzate Piedi fuori Abbracciare il cuscino Sotto il cuscino Sopra tanti cuscini Senza cuscino Capitolo 7 - I Gesti Delle Braccia I gesti Gesti-azione Gesti-atteggiamento Potere ed età riducono i gesti Il contesto Scala delle priorità Due livelli di comunicazione Feedback Braccia incrociate Braccia che chiudono Braccia che afferrano Braccia aperte Braccia che coprono Braccia che tagliano Braccia che schiacciano Barriere parziali

Braccio che controlla Braccio che sorregge Barriere mascherate Braccia dietro la schiena I gomiti Gomiti in fuori Gomiti in alto Capitolo 8 - La Mano E I Suoi Gesti Le mani Le mani e il cervello Il linguaggio del tatto Toccare gli altri Toccare se stessi Toccare gli oggetti La diagnosi della mano I meridiani La forma Il colore La flessibilità Le unghie I gesti delle mani Aperte o coperte Mani a cuneo Mani a freccia Mani a pistola Il pugno Mani intrecciate Mani composte Sfregarsi le mani Lavarsi le mani Spolverarsi Allontanare un oggetto Tamburellare le dita Su le mani Mostrare il polso Le strette di mano Stretta forte Stretta molle Stretta sfuggente Stretta umida Stretta che respinge Stretta che avvicina Esercizio Stretta del perdente Stretta alla pari Stretta dominante Tre modi per neutralizzarla Le dita Il pollice L’indice Il gesto di comando Il medio L’anulare Giocare con l’anello Il mignolo Dita in bocca Capitolo 9 - Mani Al Viso… … per mentire

Coprirsi la bocca Sfiorarsi il naso Strofinarsi gli occhi Toccarsi un orecchio Allentare il colletto Battersi la fronte o la nuca È possibile imparare a mentire? Come smascherare una bugia … per giudicare e decidere Mano contro la guancia Mano che regge la testa Pollice sotto il mento Toccarsi il mento Capitolo 10 - Giocare Con Gli Occhiali Toglierli Le montature Gesti con gli occhiali Capitolo 11 - Come Si Fuma Perché si fuma? Il fumo: direzione e velocità La pipa La sigaretta Il sigaro Modi di fumare Capitolo 12 - Come Si Comunica Con La Testa Cenni del capo Annuire e negare Testa eretta Testa in avanti Testa all’indietro Testa inclinata Testa che ascolta Le espressioni del viso La fisiognomica La bocca Bocca aperta Bocca chiusa Labbro inferiore Labbro superiore Esercizio Dimmi come mangi… La voce rivela… Il volume Il tono Il doppio messaggio Diagnosi della voce Il respiro Il riso Con gli sguardi diciamo… Le pupille I linguaggi visivi Quando si parla Dove guardare Chiudere gli occhi Soppesare con gli occhi Con la coda dell’occhio Per strada Capelli, barba e baffi

I capelli L’analisi dei capelli Barba e baffi La pettinatura Gesti con i capelli Le maschere che indossiamo La prima o la seconda impressione ? Capitolo 13 - Noi E Gli Altri Un tamponamento Alla fermata dell’autobus Ai giardini La colazione di lavoro La riunione In sala d’aspetto Quando entra il capo… Un piccolo litigio Una partita a carte o a scacchi Un party Quattro chiacchiere con simpatia In visita da amici Conclusione

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